Ci sarà un processo per il sequestro e la morte, in seguito alle terribili torture subite, di Giulio Regeni, il ricercatore friulano trovato senza vita in Egitto nel febbraio del 2016. Il gup di Roma, Pierluigi Balestrieri, ha infatti accolto la richiesta della Procura della Capitale e rinviato a giudizio i 4 agenti dell’intelligence del Cairo che secondo le indagini condotte dalle autorità italiane avrebbero gestito il sequestro di Regeni. Si tratta del generale Tariq Sabir della National security egiziana e di tre agenti: Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Il processo a loro carico inizierà il prossimo 14 ottobre a Roma.
Stando alle conclusioni formulate dalla procura di Roma, il colonnello Helmy è accusato di sequestro di persona assieme al generale Sabir (già ai vertici della National security e ora trasferito a incarichi amministrativi), al colonnello Ibrahim (già capo del Servizio investigazioni giudiziarie del Cairo) e al maggiore Sharif, anche lui della National security. Allo stesso Sharif, è contestato il reato di omicidio.
“Volontaria sottrazione dal processo. La copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio” con queste parole il gup di Roma, Pierluigi Balestrieri, ha respinto l’eccezione sollevata dai difensori dei quattro 007 egiziani per la loro assenza in aula nella seconda udienza preliminare. Il sostituto procuratore, Sergio Colaiocco, in una memoria depositata oggi ha rimarcato che gli imputati “hanno avuto certamente notizia dell’esistenza del procedimento penale italiano, essendo stati tutti e più di una volta, ascoltati dalla magistratura egiziana a seguito di richiesta rogatoriale di questo ufficio”.
Regeni massacrato dagli 007. Tre testi sbugiardano l’Egitto.
Tre nuovi testimoni puntano il dito contro gli 007 egiziani nell’uccisione del giovane ricercatore friulano. La svolta nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Roma è arrivata ad aprile. Con le tre nuove testimonianze raccolte dagli inquirenti sono diventati otto i testimoni che accusano in modo ritenuto dai pm italiani chiaro e credibile gli appartenenti ai servizi segreti egiziani imputati di essere gli autori del sequestro, delle sevizie e della morte di Regeni.
I nuovi testimoni hanno specificato ai magistrati che gli 007 del Cairo avrebbero pianificato i depistaggi già nelle ore successive alla morte di Regeni, di cui erano a conoscenza già il 2 febbraio del 2016, 24 ore prima del ritrovamento ufficiale del corpo, stabilendo di inscenare una rapina finita nel sangue. I verbali delle nuove testimonianze sono stati così depositati ieri dalla Procura, in vista dell’udienza preliminare.
Dopo la chiusura delle indagini preliminari, nel dicembre scorso, almeno dieci persone si sono fatte avanti con gli inquirenti, affermando di avere notizie sul caso, ma solo tre sono state ritenute attendibili. I “dati probatori apportano nuovi elementi conoscitivi su fatti già acquisiti”, assicurano fonti giudiziarie. Uno dei nuovi testimoni ha raccontato agli investigatori del Ros e dello Sco che gli 007 sapevano della morte di Regeni già il 2 febbraio del 2016 e che per deviare l’attenzione da loro erano pronti ad “inscenare una rapina finita male”.
Lo stesso ha poi aggiunto di essere diventato amico di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato indipendente degli ambulanti del Cairo, che ha denunciato il ricercatore italiano ai servizi egiziani dopo essere entrato in contatto con il giovane per la ricerca sui lavoratori ambulanti che stava svolgendo quest’ultimo, sottolineando che il 2 febbraio di cinque anni fa era con Abdallah: “Ho notato che era palesemente spaventato. Lui mi ha spiegato che Giulio Regeni era morto e che quella mattina era nell’ufficio del commissariato di Dokki in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Uhsam quando quest’ultimo aveva ricevuto la notizia della morte e che la soluzione per deviare l’attenzione da loro era quella di inscenare una rapina finita male”.
Nei confronti degli imputati il procuratore Michele Prestipino e il sostituto Colaiocco hanno ipotizzato, a vario titolo, i reati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Per i testimoni, inoltre, il torturatore di Regeni fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif che, insieme a soggetti rimasti ignoti, avrebbe portato avanti per almeno nove giorni le sevizie avvenute in una villetta in uso ai servizi segreti nella periferia della capitale egiziana.
Torture “durate giorni che causarono a Regeni “acute sofferenze fisiche” messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni, avvenute nella stanza 13 al primo piano di una villa utilizzata dai servizi segreti per i “sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale”. “L’ho visto lì dentro – ha raccontato il testimone – con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato”.