I magistrati italiani che indagano sul sequestro e la morte del ricercatore friulano Giulio Regeni, avvenuto nel 2016 al Cairo, torneranno a confrontarsi domani, in videoconferenza, con i colleghi egiziani. Si tratta del secondo vertice, dopo quello di gennaio, con il nuovo procuratore generale Hamada Al Sawi, e il dodicesimo dall’inizio delle indagini.
Gli inquirenti italiani, guidati dal procuratore di Roma Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco, attendono risposte dagli omologhi egiziani alla rogatoria inviata nell’aprile del 2019 e sulla quale, al momento, non è giunta alcuna risposta dal Cairo. Uno snodo fondamentale per le sorti dell’indagine che ha portato all’identificazione e all’iscrizione nel registro degli indagati di cinque ufficiali della National security egiziana. Si tratta del generale Sabir Tareq, dei colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal, del maggiore Magdi Sharif e dell’agente Mhamoud Najem.
Secondo quanto hanno accertato gli investigatori del Ros dei Carabinieri e del Servizio centrale operativo della Polizia, sono stati loro ad aver organizzato e portato a termine l’arresto di Regeni culminato con la sua morte in seguito alle torture che gli furono inferte nell’arco di 7 giorni.
La Procura di Roma chiede da tempo alle autorità egiziane di consentire l’elezione di domicilio dei 5 indagati, circostanza che potrebbe consentire di avviare un processo a loro carico. Gli inquirenti italiani attendono, inoltre, conferme in merito alla presenza di uno dei cinque indagati, il maggiore Sharif, a Nairobi, nell’agosto del 2017, dove nel corso di un pranzo raccontò, in presenza di testimoni, particolari sul sequestro di Regeni.