Sono legate o no al mistero della scomparsa della 15enne Emanuela Orlandi, avvenuta a Roma trentasei anni fa, le due tombe sospette che le autorità vaticane riapriranno domani nel Cimitero Teutonico della Santa Sede? A dare una risposta a questa domanda saranno gli accertamenti disposti dal Promotore di Giustizia del Vaticano Gian Piero Milano e dal suo aggiunto Alessandro Diddi, e per farlo, domani mattina, le due tumulazioni saranno riaperte e il loro contenuto sarà ispezionato e sottoposto ad analisi tecniche.
La stampa non potrà partecipare alle operazioni, il camposanto, che si trova all’interno delle mura leonine e dunque in pieno territorio vaticano, sarà off-limits per i giornalisti ma alla riesumazione potranno assistere i familiari della Orlandi, con legali e consulenti. Nella cosiddetta “Tomba dell’Angelo” risultano ufficialmente sepolte due principesse. Nella prima, dal 1836, giace la principessa Sophie von Hohenlohe, mentre in quella attigua riposa la principessa Carlotta Federica di Mecklemburgo, morta nel 1840.
Le autorità vaticane hanno deciso di riaprire le due tombe in seguito all’esposto presentato nel marzo scorso dall’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, a cui un anno fa era giunta una lettera anonima con allegata la foto di una lapide e l’invito, esplicito, a cercare proprio lì, nel Cimitero Teutonico, e in particolare “dove indica l’angelo”. Dalle indagini difensive, condotte successivamente dallo stesso legale, era poi emerso che una delle due tombe era stata aperta almeno una volta e che la datazione della statua che raffigura per l’appunto un angelo è diversa da quella della lastra che copre la sepoltura. A detta della famiglia Orlandi, inoltre, alcune persone sarebbero da anni a conoscenza che i resti della studentessa si troverebbero nascosti nel Cimitero Teutonico.
Il primo esame che sarà compiuto, ha spiegato il professor Giovanni Arcudi, docente di Medicina legale all’Università Tor Vergata, consentirà di dare una datazione “approssimativa” ai resti. “Da questa prima analisi delle ossa – ha aggiunto il medico legale incaricato dal Vaticano di compiere gli accertamenti – possiamo proporre una datazione, certamente approssimativa, ma per i periodi che a noi servono, di 50, 100, 200 anni, la possiamo fare. Possiamo distinguere se è un osso di 10 anni o che è stato lì 50 anni o 150 anni. Possiamo fare già la diagnosi di sesso, se le strutture ossee risulteranno tutte ben conservate. Potremmo anche arrivare, dopo questo primo esame, ad escludere l’ipotesi che i resti scheletrici appartengano a persone diverse rispetto a quelle che sono state sepolte lì”. Da quei resti, se sarà possibile, sarà estratto anche il Dna, “per raggiungere delle certezze”, ha spiegato ancora Arcudi, e “per escludere in maniera definitiva e categorica che nelle due tombe ci sia qualche reperto attribuibile alla povera Emanuela”.
Soddisfatta la famiglia Orlandi, che da anni attendeva passi concreti nella ricerca della verità da parte della Santa Sede. “Aprendo queste due tombe il Vaticano ammette la possibilità, tutta da verificare – ha commentato all’AdnKronos Pietro Orlandi, fratello di Emanuela – che ci possano essere responsabilità interne. Un cambio di posizione, si ammette una possibilità finora sempre negata. Finalmente dopo 36 anni c’è una collaborazione concreta e giusta che io apprezzo tantissimo”.