Lo hanno chiamato il gioco del “ruba-paziente”, dove vinceva soltanto il proprietario delle carte, che lasciava una parte della posta a chi in quel momento le stava dando. Gli operatori del call center della Multimedica, una delle strutture sanitarie private che operano in regime di convenzione con la Regione Lombardia, percepivano un compenso per ogni paziente che dirottavano dall’agenda pubblica, dove si paga solo il ticket o addirittura l’accesso è gratuito, verso il privato.
Gli operatori del call center della Multimedica percepivano un compenso per ogni paziente che dirottavano verso il privato
Il caso era scoppiato nel dicembre scorso dopo la denuncia di una stessa operatrice del call center della Multimedica durante la trasmissione radiofonica “37 e mezzo”, condotta su Radio Popolare da Vittorio Agnoletto, medico e attivista. Medicina Democratica il 17 febbraio scorso aveva presentato al Tar Lombardia un ricorso contro una pratica vergognosa che lede il diritto alla trasparenza e alla salute.
Gli avvocati di Medicina Democratica, Francesco Trebeschi e Federico Randazzo del Foro di Brescia, avevano fatto richiesta di accesso agli atti che era stato però respinto dalla Multimedica: secondo i legali di questa, le informazioni non potevano essere rese pubbliche in quanto contenute in uno specifico modello organizzativo che riguarda “l’organizzazione interna di un soggetto di natura privata”, contenente “anche valutazioni economiche e commerciali che ne giustificano la non divulgazione”.
Con una sentenza del 27 aprile, però, il Tribunale amministrativo regionale lombardo ha dato ragione a Medicina Democratica, ritenendo fondati i motivi del ricorso contro Multimedica, “confermando il diritto al pieno accesso agli atti nei confronti di un soggetto accreditato che svolge un pubblico servizio”, spiega Marco Caldiroli, presidente nazionale di MD. “Si tratta di una vittoria per la trasparenza, in particolare nel settore della sanità, negato dalle strutture private ma anche dalla Regione Lombardia, che non si è mai premurata di definire obblighi rigorosi sul tema”, aggiunge Caldiroli.
Per Agnoletto, invece, la pratica del “ruba-paziente” “non solo conferma l’approccio lombardo ai pazienti trattati come dei clienti da contendersi e non come persone con diritti, ma spiega anche perché non sia stato ancora attivato un vero centro unico di prenotazione che abbia a disposizione tutte le agende sia delle strutture pubbliche, sia di quelle private convenzionate”.
La premialità riconosciuta agli operatori del call center Multimedica, secondo Medicina Democratica, era parte integrante di un accordo sindacale, che funzionava seguendo uno schema che l’associazione ha così ricostruito: il premio andava gli operatori che convincevano “le persone che chiedevano un appuntamento con il pubblico (ticket) a spostarsi sul privato (“solvente”) con una tariffa “smart” (ridotta) di ingresso, prospettando tempi di attesa biblici con il pubblico”.
“Facilitare l’entrata con una “tariffa smart” (inesistente nelle forme di accreditamento)”, spiega Medicina Democratica, “è un sistema commerciale palese per “fidelizzare” il cliente, se la “merce” in questione è costituita da prestazioni sanitarie e quindi è in gioco la propria salute è facile pensare che dopo un “accesso agevolato” alle prestazioni private la persona sarà indotta, se non costretta nella pratica, a proseguire un percorso di cura o prestazionale nella medesima struttura, a quel punto con tariffe di mercato estremamente più elevate”.
“In Lombardia, appare assurdo che il privato si prenda tutti i vantaggi (a partire da quelli economici) grazie all’accreditamento e alle convenzioni e non debba essere trasparente come ogni ente pubblico o incaricato di pubblico servizio”, chiosa Caldiroli.