di Angelo Perfetti
Meno male che il governo Letta, nelle sue varie declinazioni di ministeri (non a caso ora in bilico), ha trovato qualcuno più pasticcione di lui. Perché altrimenti ora la vicenda dei marò sarebbe solo l’ennesima brutta figura italiana. Invece dall’altra parte del mondo, pur avendo il coltello dalla parte del manico ( cioè avendo i marò in mano, dato che glieli abbiamo dati noi – particolare non trascurabile) sono riusciti ad essere talmente litigiosi, talmente asincroni, talmente concentrati sulle elezioni interne da protrarre la questione fino al punto da non essere più sostenibile. Se all’Italia dunque si imputa il mancato decisionismo iniziale e il peso internazionale per risolvere subito la questione, all’India si imputa l’aver trascinato oltre misura un processo che avrebbe dovuto concludersi prima. E in questo “mal comune mezzo gaudio” aumentano le possibilità di far saltare il processo con l’imputazione di terrorismo e far rientrare finalmente a casa i nostri fucilieri di marina. Insomma: dove non riusciamo per capacità nostre magari la spuntiamo per le altrui incapacità.
L’accusa a Nuova Delhi
“Come spesso accade un braccio del governo non sa cosa sta facendo l’altro”, ha scritto il Times of India, il più diffuso quotidiano indiano (e lì parliamo di milioni di persone), in un editoriale dedicato ai ritardi nella vicenda dei due marò italiani ancora in attesa di processo dopo due anni. Nel commento intitolato “Bungling of Italian marines’ case is symptomatic of larger foreign policy failure” (Il pasticcio sulla vicenda dei due soldati della Marina italiana è sintomatico di un esteso fallimento della politica estera) il quotidiano critica il governo indiano per aver gestito male la vicenda e mette in guardia dal rischio di ripercussioni sul piano internazionale.
“La gestione pasticciata del tragico incidente – scrive – è sfociata in una grave crisi diplomatica con ramificazioni che si sono estese sul piano internazionale”. Il quotidiano fa riferimento alla garanzia data il 22 marzo 2013 dal ministro degli Esteri Salman Khurshid sul fatto che il caso “non rientra tra quelli che sono puniti con pena di morte” e che è stata disattesa dal suo collega degli Interni che avrebbe invece approvato l’utilizzo del Sua Act (secondo indiscrezioni di stampa). “Se le garanzie dell’India perdono credibilità, ci potrebbero essere conseguenze sulla sicurezza che danneggiano anche lo stesso ministro degli Interni” aggiunge citando il caso del terrorista Abu Salem estradato dal Portogallo in cambio dell’impegno di non condannarlo all’impiccagione. Il Times of India mette poi in evidenza in rischio di una sospensione della cooperazione con l’Unione Europea. “Se insistiamo a trattare i due militari italiani come terroristi, cosa succederà quando invece ci troveremo con dei veri terroristi?”.
Isolati nel mondo
L’editoriale cita anche la recente disputa con gli Stati Uniti sull’arresto della vice console di New York accusata di falsificare il salario della domestica. “Lo zio Sam – scrive riferendosi agli Usa – è l’unica potenza globale e può permettersi di ignorare i suoi impegni internazionali, ma l’India non lo può fare. Se New Delhi perde gli Usa e anche l’Europa, potrebbero per esempio esserci brutte sorprese nella nostra partnership strategica con il Giappone”. E poi conclude ironicamente che “l’unico partner che ci rimane è la Cina”, ma questa relazione “potrebbe costare la cessione di porzioni di territorio nazionale” riferendosi alla vecchia e ancora irrisolta disputa sui confini dei due giganti asiatici sulla catena himalayana.