Case popolari, la Consulta boccia definitivamente il requisito dei 10 anni di residenza in Italia

La Consulta boccia il requisito dei 10 anni di residenza per il diritto alla casa popolare. Azzoppato uno dei cavalli di battaglia della Lega

Case popolari, la Consulta boccia definitivamente il requisito dei 10 anni di residenza in Italia

La prima sentenza della Corte Costituzionale del 2025 è una picconata a uno dei cavalli di battaglia della Lega. Il requisito dei dieci anni di residenza in Italia per ottenere una casa popolare o il contributo all’affitto, è stato infatti dichiarato illegittimo. A confermarlo, oggi, la Consulta con la sentenza Numero 1 del 2025.

La suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legge della Provincia autonoma di Trento 7 novembre 2005, numero 15, l’ha dichiarata illegittima, perché in contrasto con gli articoli 3 e 117 della Costituzione.

Le norme bocciate dalla Consulta richiedevano, per l’assegnazione dell’alloggio a canone sostenibile e per il contributo integrativo del canone di locazione, la residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.

Il requisito dei 10 anni confligge con l’obbligo costituzionale di assicurare una vita dignitosa alla persona

Per i giudici, infatti, con riferimento a prestazioni che assicurano un’esistenza dignitosa e sono funzionali alla piena realizzazione della persona umana e all’effettivo esercizio degli altri diritti costituzionali, la previsione del requisito della residenza di dieci anni sul territorio della nazione non è sorretta da una valida ragione giustificatrice e non presenta alcuna correlazione con il bisogno abitativo.

Secondo la Corte si tradisce così “il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impedisce il pieno sviluppo della persona umana”.

La legge discrimina i più bisognosi

Inoltre, il requisito della residenza protratta, nella sua rigidità, “pregiudica proprio chi sia costretto a trasferirsi di frequente, per le precarie condizioni di vita, e perciò si trova in uno stato di più grave disagio” e presenta una più accentuata incidenza lesiva con riguardo ai “soggiornanti di lungo periodo, i quali, pur potendo vantare la permanenza quinquennale, necessaria per ottenere il permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, più difficilmente cumulano i dieci anni di residenza richiesti dalla disposizione censurata”.

Alle stesse conclusioni era giunta anche la Corte di Cassazione, la quale aveva stabilito che le norme che prevedevano requisiti temporali di residenza sono in contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione) e con l’articolo 117, primo e quinto comma, della Costituzione.