Chiara Colosimo, presidente della commissione parlamentare antimafia, ha querelato Saverio Lodato. Un giornalista antimafia, che da cinquant’anni racconta la criminalità organizzata con nomi, fatti e dettagli, viene citato in giudizio da chi, per ruolo, dovrebbe tutelare il diritto di raccontare. Lodato lo ha annunciato pubblicamente. Una denuncia per diffamazione partita dalla procura di Roma per una trasmissione di Otto e Mezzo del 23 ottobre scorso, nella quale si era limitato a ricordare alcuni dati di fatto: una foto di Colosimo con Luigi Ciavardini, condannato per la strage di Bologna, la decisione di ignorare un dossier di 50 pagine sull’eversione nera presentato da Roberto Scarpinato e la richiesta della stessa Colosimo di sollevare la questione dell’incompatibilità. Nessuna opinione, nessuna illazione. Solo cronaca.
Eppure, la presidente della commissione antimafia ha scelto la via giudiziaria. Un riflesso sempre più frequente tra esponenti politici e di governo, che reagiscono alle critiche con la querela facile, trasformando i tribunali in strumenti di intimidazione. Non c’è neanche l’originalità di un metodo nuovo: si reprime, si delegittima, si allude a inesistenti complotti e si tenta di zittire chi fa domande scomode. Un copione già visto. La Federazione nazionale della stampa e l’Assostampa Sicilia hanno espresso solidarietà a Lodato. Il sindacato dei giornalisti ricorda che il compito dell’informazione è quello di essere ‘cane da guardia della democrazia’. Se chi guida la commissione antimafia si sente minacciata dai fatti, il problema non è Lodato. Il problema è il rapporto tra stampa e potere, sostanzialmente è la democrazia.