Il Capo dello Stato non poteva essere più chiaro sull’emergenza salariale che esiste in Italia. “Troppi giovani cercano lavoro all’estero, per la povertà delle offerte retributive disponibili”, ha detto. Dario Carotenuto, deputato del M5S e membro della commissione Lavoro, che ne pensa?
“Io vengo da Napoli e negli ultimi dieci anni ben 17 mila laureati hanno lasciato la mia città per emigrare al Nord o all’estero. Il punto non è andar via, ma se questa è una scelta o una necessità. Qui è una necessità. Mi pare sacrosanto il richiamo di Mattarella all’esigenza nel nostro Paese di redistribuire la ricchezza. Viviamo in un contesto sociale in cui i ricchi stanno diventando troppo ricchi rispetto ai poveri. E questo non può che provocare ricadute sociali di cui tener conto”.
Ritiene che quelli del presidente della Repubblica siano stati richiami alla responsabilità delle imprese e a quella del governo?
“Sicuramente è un richiamo al senso di responsabilità degli imprenditori. C’è un tema grande che riguarda capitali e ricchezze che spariscono al fisco e un altro relativo alla forbice che si va allargando tra poveri e ricchi. E questo comporta la caduta delle teorie neoliberiste. Non c’è travaso della ricchezza dall’alto verso il basso. Non sta funzionando più, se mai ha funzionato. Dunque, io leggo nelle parole di Mattarella un richiamo a chi fa impresa e anche un richiamo forte a questo governo che sta applicando teorie liberiste, o neoliberiste che dir si voglia, che mirano ad aiutare gli imprenditori, mettendo sempre più in difficoltà i meno abbienti come se questi potessero essere stimolati a fare meglio. Ma la realtà ci dice che se non si cambia questo paradigma a favore della redistribuzione il rischio è di tensioni sociali”.
Confindustria ha ribadito il suo no al salario minimo. Serve un salario giusto, ha detto il suo leader Carlo Bonomi, da garantire attraverso la contrattazione collettiva. Come replicate?
“Alla prova dei fatti i numeri ci dicono che la contrattazione collettiva non è sufficiente. Il numero dei lavoratori poveri, checché ne dica il “nuovo” Inps targato Meloni-Calderone, è in crescita costante. Anche i contratti stipulati regolarmente lo sono, il problema è che, talvolta, i salari sono da fame e violano il dettato costituzionale”.
Cosa vi aspettate dalla proposta del Cnel sul lavoro povero? “Niente di buono. Sappiamo bene che il presidente Brunetta è contrario al salario minimo. Mi sembra un voler prendere tempo, fare melina. Il salario minimo è solo la prima di una serie di risposte che vanno date ai cittadini per risolvere il problema del lavoro povero. Laddove è stato applicato ha funzionato: ecco perché continueremo a dare battaglia”.
Il livello di occupazione delle donne in Italia è inferiore a quello di tutti gli altri Paesi dell’Unione europea.
“Questo è un dato che fa male. C’è, da un lato, un problema culturale. La donna, soprattutto al Sud, è vista ancora oggi come colei che è destinata a stare a casa con i figli. E questa mentalità, che ha evidentemente generato mostri, si è accompagnata ad una carenza di servizi. Il numero di asili nido al Sud è irrisorio. Poi c’è la questione dei congedi parentali che vanno equiparati tra uomini e donne. Il numero di dimissioni delle neomamme è altissimo. Ma va anche detto che col Pnrr avevamo previsto fondi importanti per gli asili nido e questo governo ha al momento disatteso questo impegno. Che è una cosa grave se si considera che le destre parlano di incentivare la natalità ma poi vengono meno nelle battaglie necessarie a sostenerla”.
I percettori del Reddito di cittadinanza erano, per la maggior parte, persone scarsamente qualificate, con livelli di istruzione bassi e lontani a volte da anni dal mercato del lavoro. Che possano trovare lavoro in tempi brevi è secondo lei possibile?
“Lo scenario è di persone abbandonate dallo Stato. Nella carenza di assistenza sociale, nel vuoto della formazione e di uffici che possano fare incontrare domanda e offerta, ovvero nell’assenza totale di politiche attive di lavoro, togliere tout court il Reddito di cittadinanza è stato un atto di sadismo e classismo”.
Il Reddito di cittadinanza è stato definito un concorrente dagli industriali.
“Il Rdc è calcolato sulla base dell’indice di povertà che ci fornisce l’Istat. Se qualche industriale ritiene che sia concorrenziale, vuol dire che non è capace col salario che dà al suo dipendente di garantirgli quel minimo che l’Istat considera sufficiente per uscire dalla povertà”.
È vero che cancellare il diritto al Rdc espone le persone al ricatto del welfare mafioso?
“Mi pare una realtà evidente. Laddove lo Stato ti dà possibilità ti senti responsabilizzato, laddove ti abbandona si corre il rischio che le persone sentano di avere un alibi per accettare quello che la strada ti offre per dar da mangiare alla tua famiglia”.
Il governo ha esteso l’utilizzo dei voucher e ha reso più facili i contratti a termine. Ma il mercato del lavoro aveva bisogno di ulteriore flessibilità?
“Assolutamente no. È il governo del sadismo, che ad un aumento selvaggio della flessibilità ha per giunta unito lo smantellamento di misure di welfare come il Rdc o di contrasto alla precarietà come il decreto Dignità. Il tutto per una mera ritorsione politica contro il M5S, che costerà cara ai cittadini”.
Tra lavori discontinui e precari quali prospettive pensionistiche intravede?
“È impossibile oggi pensare a una piena occupazione, dunque bisogna rivedere i principi su cui si fondano i meccanismi pensionistici. Ecco perché penso che dovremmo guardare con interesse agli esperimenti condotti sul reddito universale, allo Stato che garantisce quel minimo per rendere dignitosa la vita di tutti. Al contempo, andrebbe istituita una pensione di garanzia per i giovani, strumento che il M5S propone da tanto tempo”.
Continua la strage sul lavoro.
“Noi avevamo messo alcune proposte sul tavolo, come la patente a punti per le aziende virtuose. Altresì, abbiamo immaginato una Procura nazionale sul lavoro. C’è una mozione a mia prima firma in discussione alla Camera la settimana prossima proprio su tali temi. Ma il discorso anche qui è della necessità di cambiare il paradigma liberista per cui viene prima il profitto e poi l’uomo. Finché prevale questa logica, si arriva al paradosso che il rischio sul lavoro venga considerato connaturale. E allora forse dobbiamo fare in modo che infortuni e vittime sul lavoro diventino un peso inaccettabile per un’azienda e che solo così si risolverebbe il problema”.