Quando si parla di giustizia è quasi del tutto inevitabile parlare di certezza della pena. Perché in un Paese che funzioni non basta avere delle buone leggi, ma è necessario applicarle con rigore affinché – come nei casi in cui sia prevista la detenzione – queste possano avere non solo il tratto sanzionatorio-punitivo, ma anche rieducativo nel rispetto degli inviolabili diritti della persona.
Nelle carceri italiane si continua a morire. Tra i suicidi molte persone fragili
Le attuali condizioni del sistema penitenziario italiano sono allarmanti e non è di certo una novità se pensiamo che già nel 2013 con la sentenza Torreggiani l’Italia fu oggetto di una condanna da parte della Corte europea di diritti dell’uomo per la violazione dell’art. 3: pur escludendo la volontà delle autorità italiane di sottoporre i detenuti a trattamenti inumani e degradanti, la Corte ha constatato condizioni di reclusione incompatibili con il rispetto della dignità umana ed eccedenti il livello inevitabile di sofferenza connesso alla detenzione penale.
La lezione sovranazionale dei giudici di Strasburgo non deve essere bastata alla politica nostrana per un cambio di rotta se ben dieci anni dopo, come attesta il puntuale report di Antigone, abbiamo – per citare alcuni dati – regioni con tassi di affollamento nelle carceri elevatissimi: Veneto al 133,6% (2.602 detenuti in 1.947 posti), Lombardia che si attesta al 142% (8.733 detenuti in 6.152 posti) o, andando al sud, la Puglia con il 153,7% (4.475 detenuti in 2.912 posti).
Il sovraffollamento combinato alla fatiscenza delle strutture determina condizioni di vita inumane – spesso anche per gli agenti che in quegli ambienti operano – e che possono portare a gesti estremi come il suicidio. A riaccendere l’attenzione sul tema è infatti la cronaca con la morte di Matteo Concetti che, come dichiara disperata la madre, era “annunciata”. Il caso in questione ci fa fare un passo ulteriore nel comprendere quanto sia intricato il quadro italiano: Concetti aveva una patologia psichiatrica e nonostante questo un giudice aveva deciso che dovesse scontare la sua pena in carcere.
Le liste per accedere alle Rems che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari sono interminabili
La legge italiana prevede che le persone con disturbi psichiatrici che commettono reati non debbano scontare la pena in carcere, ma debbano invece essere assegnate a una REMS, Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, cioè una delle strutture che dal 2014 sono subentrate agli Ospedali psichiatrici giudiziari. Ma le liste di attesa per accedere alle REMS sono interminabili, essendocene in Italia pochissime, e si opta così per misure inadeguate alle peculiarità del reo. Basterebbe un briciolo di buon senso per capire che la risposta politica a una situazione emergenziale di questo tipo debba essere la repentina istituzione di una task force di tecnici e operatori del settore che abbiano una reale contezza della complessa articolazione del problema. E invece no.
Ci è toccata la nomina di un politico di maggioranza come Garante dei detenuti, in barba all’indipendenza della carica, per una situazione al collasso che lo vede attualmente non operativo (non è ancora avvenuta la formalizzazione da parte di Palazzo Chigi). Un caso che rende chiaro il valore dato dalla maggioranza di governo a due aspetti della vita pubblica: le priorità da affrontare e le competenze necessarie per farlo.