di Nicoletta Appignani
Rinchiusi in un carcere indiano per tre anni. Mesi senza poter parlare con le famiglie, perché le telefonate non venivano autorizzate. Poi finalmente l’assoluzione e il ritorno in patria. E adesso Angelo Falcone e Simone Nobili fanno causa allo stato indiano. Ma non solo. Perché sarà citato anche il Ministero degli Esteri italiano, accusato di essere intervenuto tardivamente e in modo non adeguato.
Proprio nei giorni in cui il braccio di ferro fra Italia e India si fa più duro per la vicenda dei marò, nuova benzina sul fuoco arriva dalla denuncia dei due ragazzi italiani incarcerati ingiustamente nelle prigioni di Mandi e Nahan. Ora i due, assistiti dall’avvocato Claudio De Filippi, chiedono all’India di rimborsarli per l’incubo che hanno vissuto.
Dalla vacanza all’incubo
L’odissea inizia nel marzo 2007. Angelo, 27 anni, è affascinato dai racconti di un amico sui suoi viaggi in India. Così, qualche mese dopo, il ragazzo si organizza con Simone, un amico, e insieme partono per un viaggio di tre mesi. La vacanza trascorre tranquillamente fino a quando i ragazzi decidono di partecipare al Maha Shivatri, una festa in onore di Shiva. Arrivati a Mandi, riescono a trovare ospitalità a casa di Deepak Kumar, un indiano conosciuto sul posto. Tutto prosegue bene fino a quando una sera, improvvisamente, in casa fa irruzione la polizia. Senza capire cosa stia accadendo, i due ragazzi vengono rinchiusi in una stanza. La polizia interroga quindi Deepak Kumar. Al termine, Simone e Angelo vengono portati in caserma “per un semplice controllo dei documenti”. In quel commissariato, resteranno chiusi per tre giorni. Nessun avvocato. Nessun traduttore.
L’Arresto per droga
La polizia li interroga incessantemente, vietando qualsiasi telefonata alla famiglia o all’ambasciata. Un contatto con l’esterno sarebbe possibile solo dopo aver firmato una dichiarazione precompilata scritta in indi, quindi per loro assolutamente incomprensibile. I ragazzi non firmano. E l’intimidazione sfocia nella violenza. «Quando sono tornato in Italia – racconta oggi Angelo – sono stato operato ad entrambi i menischi e al polso destro. Esattamente dove sono stato colpito durante quei giorni in caserma». Alla fine i giovani sottoscrivono il foglio e vengono condotti davanti al Giudice: l’accusa è di detenzione di sostanze stupefacenti e narcotraffico per 18 chili di hashish. Un “corpo del reato” che nessuno vedrà mai. Ma i due finiscono in prigione, malgrado non sappiano ancora il motivo nei dettagli.
Le condizioni sono disumane: si dorme sul pavimento, si mangia una ciotola di riso e verdure al giorno, si beve acqua torbida. Non sorprende che poco dopo i giovani si ammalino di epatite. Nel frattempo i genitori cercano di parlare con loro, riuscendoci dopo mesi e con difficoltà. Il padre di Angelo lancia appelli disperati ma addirittura l’appoggio dal consolato italiano tarda ad arrivare: il primo avvocato chiede ai ragazzi 10.000 euro promettendo “cioccolata e parmigiano per allietare la permanenza”, mentre la prima visita di un funzionario arriva a quattro mesi dall’arresto.
Condannati a 10 anni
Il 22 agosto 2008 la condanna: 10 anni di reclusione. La svolta arriva con l’appello. È il 3 dicembre 2009, quando Angelo e Simone vengono assolti con formula piena: troppe le lacune processuali, come la mancanza del “corpo del reato”, e troppe le contraddizioni nel verbale d’arresto. «Ricorderò per sempre quella sera – racconta commosso Angelo – le guardie carcerarie erano meravigliose. Durante tutto il tempo che abbiamo passato lì ci sono stati accanto, cercando di aiutarci. Il giorno in cui ci hanno scarcerati hanno organizzato una colletta e ci hanno portato nell’albergo di un loro amico. Poi, quando hanno finito il turno, ci hanno portato a cena fuori». Sembra la fine di un incubo. Ma non lo è.
Finalmente liberi
Malgrado l’assoluzione, infatti, il ritorno in Italia si rivela più difficile del previsto: l’accusa chiede la riapertura del caso e il ricorso viene respinto dopo più di quattro mesi. Così la riconsegna del passaporto tarda sempre di più. Risultato: i due riescono a tornare a casa soltanto il 17 maggio 2010.
Ora l’avvocato Claudio De Filippi è pronto a fare causa all’India per quei tre lunghissimi anni di galera e per tutte le violenze subite: «Nobili e Falcone hanno subito qualcosa che va oltre l’ingiusta detenzione. E il pensiero non può che andare a tutti quei connazionali che in questo momento si trovano nella stessa situazione».