“La verità è che le nostre regole d’ingaggio vanno riscritte completamente perché oggi finiscono per spostare l’oggetto della garanzia dalla vittima al carnefice”. Non ha dubbi Ranieri Razzante, direttore del Crst (Centro Ricerca Sicurezza e Terrorismo) in merito al vero problema dietro l’uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega per mano di due diciannovenni americani.
Da giorni si parla dell’uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega. Lei che idea si è fatto?
“Questi ragazzi si sono trovati in una situazione più grande di loro, con due persone in stato di profonda alterazione da psicofarmaci, droghe e alcol, che ne hanno potenziato la forza di almeno dieci volte. Ecco spiegato perché il carabiniere è stato sopraffatto. Ad ogni modo c’è stata una sottovalutazione della situazione perché, per quanto fossero preparati, dovevano avere il giubbotto antiproiettile. Tuttavia mi creda, il vero problema sono le regole d’ingaggio che devono essere cambiate infatti i due carabinieri si sono qualificati, non creda alle stupidaggini che si dicono in giro, e proprio alla vista del tesserino è scattata l’aggressione. Ma il loro intervento è stato limitato dal fatto che, per legge, non potevano nemmeno estrarre l’arma. Un’assurdità perché deve essere possibile per intimidire”.
Se il problema sono le regole d’ingaggio, come se ne esce?
“Bisogna dare agli agenti maggiori poteri nell’utilizzo delle armi, il tutto nell’ambito di leggi severe capaci di evitare derive populiste che portino la gente ad acquistare e usare armi. Tali strumenti devono essere adoperati solo da persone addestrate, cioè le forze dell’ordine, e nessun altro. Ovviamente parliamo di un uso con finalità di dissuasione, non per ferire o uccidere. Inoltre bisogna rivedere il concetto di proporzionalità tra offesa e difesa perché, in questo caso, il militare potrebbe non aver estratto la pistola in quanto il criminale aveva un coltello”.
Come si spiega il fatto che Mario Cerciello Rega non avesse con sé la pistola d’ordinanza?
“Sa perché era nell’armadietto? Perché gli agenti hanno paura a portare l’arma con sé in quanto essa stessa è una responsabilità. Molti preferiscono lasciarle in caserma ma, questa storia ce lo insegna, un agente è sempre in servizio anche quando il suo turno è finito”.
Le armi non letali, sono una soluzione?
“Assolutamente si. Anzi le dirò di più, il taser probabilmente avrebbe salvato la vita di Mario. Per questo non capisco come mai, dopo anni di proposte e dibattiti, tali strumenti ancora non siano stati dati in dotazione alle nostre forze dell’ordine. È assurdo anche perché in tanti paesi stanno già funzionando, evitando morti superflue sia tra i delinquenti che tra le forze dell’ordine. Comunque non basta il teaser perché, come chiedono giustamente i sindacati di categoria, servono anche guanti, giubbotti obbligatori e caschi di protezione”.
C’è chi crede che la Legge italiana stia dalla parte dei criminali piuttosto che da quella degli agenti. E’ così?
“Sfortunatamente è davvero così. Basti pensare al fatto che alle forze dell’ordine è concesso usare le armi in dotazione solo in caso di estremo pericolo di vita. Ma tutto ciò è assurdo perché secondo lei in pochi attimi concitati è possibile fare una simile valutazione? Ovviamente no. Non prendiamoci in giro, bisogna poter estrarre l’arma per dissuadere, spaventare e intimorire. Oggi, invece, l’agente deve prima subire e solo successivamente può reagire”.