Il malumore è già da un pò che cova, sottotraccia, appena accennato, sempre a mezza bocca. Adesso è palese: la leadership di Matteo Salvini nel centrodestra non è più così solida. Né scontata. I prodromi c’erano già tutti, sia all’interno del suo stesso partito che – a maggior ragione – fuori. Se l’uscita scomposta dalla spiaggia del Papeete di Milano Marittima, quando il leader della Lega decise improvvisamente di mollare il governo aveva lasciato tutti frastornati e increduli, le gaffes varie, le solite uscite con toni sopra le righe potevano essere in qualche modo tollerati in nome di un’apparente supremazia nelle urne, dopo le sconfitte – brucianti e in sequenza – in Emilia Romagna, Toscana, il fallimento del progetto di espansione nazionale (le liste della Lega alle regionali nelle al centro sud non hanno tirato, e il voto in Sicilia ha nettamente ridimensionato le ambizioni del Capitano) per non parlare della débâcle nelle comunali nella “sua” Lombardia dove la Lega e il centrodestra hanno perso persino a Legnano, dove si trova la statua di Alberto da Giussano, il leggendario eroe che campeggia nei simboli legati al Carroccio, inziano a pesare.
Persino Salvini ha dovuto ammettere che “sono dati su cui riflettere”, ma decisamente più tranchant, come nel suo stile, è stato il giudizio del vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti: “La politica è fatta così, si vince o si perde. Dire che abbiamo vinto in Lombardia non è vero. Se abbiam perso abbiam perso”. E non a caso ieri ha avuto un faccia a faccia di circa mezz’ora col suo segretario sulla situazione economica e internazionale e soprattutto sulle prospettive della Lega e del centrodestra. Se infatti in via Bellerio i mugugni sono sempre più rumorosi e nei i gruppi parlamentari, tranne pochi ‘falchi’, ormai tutti condividono la riflessione di Giorgetti sulla collocazione in Europa e sulla definizione di una di una strategia più strutturata che non sia solo selfie e propaganda social by “la Bestia”, nel resto della coalizione la leadership del Capitano non è più vista come imprescindibile.
Soprattutto dalle parti dell’area Toti- Carfagna, che ieri sera hanno riunito una ventina di parlamentari a cena, ufficialmente per discutere “di un nuovo progetto”, per riempire “il vuoto al centro del centrodestra con la creazione di un contenitore politico moderato, alleato di Lega e dI con la prospettiva di dar vita a una federazione”, di fatto per dare un segnale a Matteo Salvini che qualcosa si muove. Del resto che Mara Carfagna non fosse una fan di Matteo è noto da tempo e il governatore della Liguria era stato abbastanza esplicito già una decina di giorni fa, fresco del suo successo elettorale: “Per essere il capo, servono due cose: i numeri e la capacità di gestire la coalizione. I primi ci sono, la seconda per ora no. Salvini Potrebbe essere l’architetto del centrodestra, ma non mi risulta che abbia alcun progetto. Si concentra solo sulle sue battaglie, va per conto suo. Qual è la conseguenza? A forza di dare spallate, finisce per rimediare una lussazione dopo l’altra”.
Piatto forte del menu il futuro della cena insomma, un progetto di coalizione che vada oltre al sovranismo “muscolare”. “La cena di stasera è una prima interlocuzione a cui ne seguiranno altre nel tentativo di rinforzare la rappresentanza politica dell’elettorato cosiddetto moderato di centrodestra’”, dichiara l’azzurro Andrea Cangini, portavoce di ‘Voce Libera’, ma anche chi moderata non è – la leader di FdI Giorgia Meloni, – forte del suo crescente consenso nel Paese e dell’indiscusso protagonismo in Europa, a tempo debito giocherà le sue carte.