Un’eventuale candidatura di Giorgia Meloni alle prossime elezioni europee in programma a giugno? Perché no. D’altronde “indicherà l’importanza che assegniamo a queste elezioni, l’importanza di mettere insieme il livello europeo con quello italiano”. Così il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan, conversando con i giornalisti a margine della conferenza programmatica del partito in corso a Pescara. “Il governo italiano – ha aggiunto Malan – ha fatto un ottimo lavoro ma tante decisioni vengono prese dalle istituzioni europee, l’azione del governo italiano la si fa anche a Bruxelles”.
Quanto alla soglia di voti che FdI si aspetta, Malan ha spiegato: “Lo ha indicato la presidente Meloni ed è il 26% che abbiamo preso alle politiche, per noi quella è la soglia del successo. Quasi dappertutto in Europa chi governa perde consenso rispetto a quello che ha avuto nelle precedenti elezioni, noi invece puntiamo a guadagnarne” soprattutto considerando che sono passati “quasi due anni di governo in condizioni certamente non facili”. Bastano queste parole per comprendere quanto sia più che una possibilità la candidatura della premier alle europee. Il dato, per molti, è ormai già tratto: la Meloni potrebbe annunciare la sua candidatura alla fine del maxi-evento iniziato ieri a Pescara e che terminerà domani.
- Non c’è due senza tre
Se così dovesse andare saremmo presenza della terza candidatura farsa dopo quelle di Antonio Tajani ed Elly Sclhein. Già, perché al di là di ogni ragione e ragionamento, è ineludibile un fatto: nessuno dei tre ovviamente, una volta eletto, rinuncerà al proprio ruolo in Italia per andare a Bruxelles. Parliamo, d’altronde, di una deputata e, soprattutto, di un ministro degli Esteri (e vicepremier) e, soprattutto, di una presidente del Consiglio. Come noto, è stato Tajani il primo a rompere gli indugi e ad annunciare la candidatura alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. La discesa in campo del segretario di Forza Italia ha fatto da apripista agli attesi successivi annunci.
E non a caso a seguire è stata la Schlein ad annunciare la sua personalissima discesa in campo dopo la Direzione nazionale del partito. Salvo sorprese, dunque, l’unico leader delle forze di centrodestra a non partecipare alla competizione per il prossimo Parlamento europeo è stato Matteo Salvini, che già settimane or sono aveva spiegato di non voler sottrarre tempo e impegno al ruolo di ministro delle Infrastrutture. Che d’altra parte ha puntato forte sulla candidatura del generale Roberto Vannacci (leggi pezzo in basso).
Ferita per la democrazia
Resta, però, anche una questione di correttezza verso gli elettori. Quanto senso ha candidarsi per meri calcoli elettorali pur sapendo che nessuno di quei voti, di quelle preferenze verrà “rispettato”? Sebbene la candidatura dei tre leader politici sia del tutto legittima e osservante delle regole, con la loro discesa in campo è altrettanto vero che si sa già in partenza che nessuno di loro siederà al Parlamento europeo.
Qualcuno parlerebbe di vera e propria “offesa” al diritto/dovere di voto da parte di leader politici nei confronti degli elettori. Restano, su tutte, le parole pronunciate da Romano Prodi qualche giorno fa: “Perché dobbiamo dare il voto a una persona per farla vincere e, se vince, di sicuro non va in Europa? Sono ferite della democrazia che piano piano scavano il fosso per cui la democrazia non è più amata”. Una considerazione che, ovviamente, “riguarda la Meloni, la Schlein, Tajani, tutti. Non è questo il modo di fare, non è questo il modo di sostenere che la democrazia è al servizio del popolo”. Perché, di fatto, il popolo non è tenuto per niente in conto.