di Giuseppe Porzio
Ora ci si mettono anche i buyer scandinavi. Il loro è solo l’ultimo “no”, in ordine di tempo, agli ortaggi del Bel Paese di provenienza campana. Un embargo già praticato dalla grande distribuzione di casa nostra che ora valica le frontiere. Già, perché pare che da tempo questo veto sia divenuto oramai una regola nel mercato di settore: stop ai prodotti coltivati nelle Terre dei Fuochi. Ma c’è chi lo definisce speculazione e corre ai ripari: “Il rischio è che ora si approfitti dell’emergenza ambientale per trattare sui prezzi di frutta e verdura”. Il nocciolo della questione ha provato a decifrarlo l’assessore regionale alle Politiche agricole, Daniela Nugnes, che ha istituito tavolo permanente con le associazioni di categoria e annunciato la stipula di un protocollo d’intesa tra Regione Campania e i maggiori enti di ricerca nazionali – Cra (Consiglio Ricerca e sperimentazione in agricoltura), Iss (Istituto superiore Sanità) Ispra (protezione e ricerca ambientale), Ciram (Centro dipartimentale Federico II) – per avviare “la caratterizzazione dei suoli agricoli” e “l’analisi delle matrici vegetali e idriche”.
Così da poter avere una tracciabilità precisa e inequivocabile su ciascun alimento coltivato. E questro vale anche per i grossiti “grossisti” che devono invece effettuare, oltre quella “a monte”, anche la rintracciabilità “a valle”, ossia devono essere in grado di individuare anche le imprese clienti alle quali hanno a loro venduto i prodotti.
La Regione
Si comincia con Caivano e Casal di Principe. Le terre, cosiddette, “dei fuochi”, dove per anni, grazie a uno scellerato patto tra “Camorra spa” e industria del Nord, s’è sversato ogni tipo scarto e genere tossico non trattabile. Lo stesso assessore ha preannunciato richieste di risarcimento alle catene della grande distribuzione accusate di “boicottare” la Campania. L’equazione è di rapida intuizione: i tuoi prodotti provengono da terre inquinate, dunque per la mela annurca, la melanzana, il pomodoro o il cavolfiore non puoi più pretendere le cifre di un tempo.
Addio alla terra felix
Non sei più Campania felix, ma luogo di terre avvelenate e fuochi che infestano l’aria. Si gioca sporco e d’anticipo. Alla trattativa – è la tecnica – ti ci porto stremandoti. Innanzitutto, non ritirando più i prodotti della terra un tempo felix, così da lasciarli marcire nei depositi. Poi verrà il momento di trattare, offrendo prezzi irrisori rispetto a quelli praticati nel periodo antecedente alla fase emergenziale. Nel frattempo, è embargo su tutta la filiera campana. E stop ai viaggi di vino, frutta e ortaggi senza distinzione territoriale. Basta che siano “made in Campania”. Così da estendere la terra dei fuochi anche dove non dovrebbe esserci traccia alcuna di veleni e rifiuti tossici nel sottosuolo. Finendo con lo speculare anche sui territori “puliti”. L’embargo non riguarda infatti solo Giugliano, Caivano, l’aversano e le terre dei Casalesi, ma pure l’agro-beneventano, il Salernitano, l’Irpinia. Un unico immenso perimetro dove l’agricoltura rischia il tracollo, con merce destinata al macero e la chiusura di molte aziende.
Fallimento
Il flop di un settore che trascinerebbe l’intero tessuto economico regionale. Basti pensare che le aziende agricole e di allevamento in Campania sono oltre 135 mila, l’8 per cento dell’intero paese. E che il solo agroalimentare produce un fatturato annuo di circa 5miliardi di euro, e che rappresenta il 25% del Pil regionale. Un settore che viaggia in controtendenza e che di recente ha fatto registrare un incremento della forza lavoro del 10,6 per cento. Ma ci si ribella anche dal di dentro. Come quei genitori degli alunni di un asilo comunale a Sarno, che hanno chiesto la sospensione immediata della fornitura di pane alla mensa dei figli. Il motivo? Farina e pagnotte sono prodotte a Giugliano. Nel cuore della terra dei fuochi e dei veleni.