Neanche il tempo di metabolizzare lo sciopero del 23 novembre scorso che già si pensa a nuove iniziativa di protesta. Medici, veterinari e dirigenti sanitari restano sul piede di guerra e minacciano altre astensioni dal servizio nelle prossime settimane. Perché, secondo le organizzazioni sindacali di categoria, le promesse e gli impegni stentano a tradursi in fatti. E dopo dieci anni di attesa e continui rinvii, “latitano ancora le condizioni necessarie per il rinnovo del contratto di lavoro”.
Mentre la discussione della Legge di Bilancio e dei provvedimenti collegati non fa che alimentare i dubbi dell’intersindacale. Anzi, Anaao Assomed, Aaroi-Emac, Cimo, Fp Cgil medici e dirigenti Ssn, Fvm federazione veterinari e medici, Fassid (Aipac-Aupi-Simet-Sinafo-Snr), Cisl medici, Fesmed, Anpo-Ascoti-Fials medici e Uil Fpl coordinamento nazionale delle aree contrattuali medica, veterinaria sanitaria parlano di rischio concreto che gli impegni “assunti con i medici, ed i cittadini, fin dal contratto di governo, un testo sacro per tutto ma non per il capitolo salute”, restino lettera morta.
Il maxiemendamento che include l’indennità di esclusività nella massa salariale dal primo gennaio 2019, aggiungono, “rischia di tradursi in beffa se, dopo avere dimenticato il rinnovo contrattuale in corso, la sua decorrenza non viene chiaramente ancorata al triennio contrattuale 2019-2021”. Il tutto mentre si tenta di “destrutturare lo stato giuridico dei professionisti del Ssn, aprendo ai contratti privati con medici senza specializzazione e pensionati”. Per l’intersindacale, siamo di fronte ad “un inaccettabile processo di precarizzazione di ritorno, dopo aver giurato e spergiurato sulla sua scomparsa con il decreto Dignità, l’assunzione da parte di Regioni ed aziende di un ruolo di nuovo caporalato, che chiama al lavoro chi vuole ed al costo che vuole, alla faccia della retorica dell’appartenenza”.
Insomma, se il presente è buio, il futuro rischia di essere nero. “Senza le auspicabili modifiche, saremmo di fronte ad un rimedio peggiore del male, una presa in giro, un danno presente e futuro, una frattura profonda tra le istituzioni ed i professionisti del Ssn”, avvertono le organizzazioni sindavali. “Il declino della sanità pubblica, sottoposta a continui e pesanti tagli che già peggiorano gli indicatori di salute, rischia di essere senza ritorno, se l’agenda politica del Governo non restituisce valore al suo capitale umano, oggi lasciato esposto alla delegittimazione sociale, alle aggressioni, a rischi legali sempre meno sostenibili a fronte di retribuzioni bloccate al 2010, alla incertezza del futuro per i giovani, al maltrattamento contrattuale e, ciliegina sulla torta, alla criminalizzazione e militarizzazione dell’attività libero professionale intramoenia”.
Nonostante si tratti dell’istituto “più regolamentato di tutta la pubblica amministrazione”, attraverso tre leggi (Bindi, Turco e Balduzzi), tre contratti nazionali, ventuno regolamenti regionali e centinaia aziendali. Una lunga premessa che porta dritto alle conclusioni. “Continuare il gioco del cerino tra le istituzioni, vuol dire che le Regioni, con la complicità del Governo, non hanno alcuna intenzione di rinnovare il Contratto collettivo nazionae di lavoro della dirigenza sanitaria”, tirano le somme i sindacati. No, quindi, ad “ogni ipotesi di scambio al massimo ribasso”. Il Governo mantenga l’impegno “ad ascoltare i medici per rimediare ai guasti che nel passato”. Una promessa, concludono i sindacati, da non tradire. Se si vogliono evitare nuovi scioperi.