Il disastro è servito. Non era per niente difficile prevedere che il “campo largo” di Enrico Letta fosse un progetto politicista – e non politico – che sarebbe costato il morire di tattica. Carlo Calenda ieri ha fatto il Carlo Calenda, com’è nella sua natura, ovvero si è dedicato a distinguere per distinguersi, rompere per racimolare macerie, mostrarsi in tutta la sua incompetenza politica mista a narcisismo.
Il disastro è servito. Ecco perché il leader di Azione, Carlo Calenda, ora finirà tra le braccia di Matteo Renzi
Prima ci sono state le 24 ore di silenzio su Twitter – una bolla che solo Calenda e qualcun altro può prendere talmente sul serio da confonderla con il mondo reale – che rientrano nella strategia “mi si nota di più se vengo o se non vengo”.
Poi, quello che vorrebbe insegnare la serietà in politica, si è seduto come ospite in televisione per potersi poi ammirare in tutto il suo splendore e ha rotto il patto che aveva siglato solo 6 giorni fa: «non c’è coraggio, bellezza, serietà e amore a fare politica così», ha recitato Calenda – che crescendo non è per niente migliorato come attore – con una frase che, come molte sue, non significa niente.
Il solito populismo delle élite, i soliti competenti “in niente” che riescono a essere classisti perfino con gli altri dirigenti politici. Così l’accordo che 6 giorni fa parlava esplicitamente di “patti legittimi” con “diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza” ora per Calenda diventa «una coalizione che nasceva per perdere».
Poi con la solita bulimia che lo assale ogni volta che si ritrova sotto mezzo riflettore sputato Calenda ha anche avuto il coraggio di insegnare alla sinistra (lui che è di destra ma non ha il coraggio di confessarlo) come dovrebbe fare la sinistra (anche questa caratteristica l’ha ereditata da Forza Italia): a Letta manca il coraggio – dice Calenda – «rappresentare la sinistra senza correre dietro a Fratoianni».
Del resto Calenda la sinistra se la immagina con il suo faccione come leader assoluto, con Gelmini e Carfagna come portabandiera. E non si immagina così solo la sinistra, vede così anche il centro e anche la destra. Perché Calenda in fondo sogna un mondo in cui lui possa essere l’unico protagonista.
Ha detto giusto Enrico Letta che twitta: «Ho ascoltato @CarloCalenda. Mi pare da tutto quel che ha detto che l’unico alleato possibile per Calenda sia #Calenda. Noi andiamo avanti nell’interesse dell’Italia».
Solo che Letta avrebbe potuto accorgersene molto prima oppure avrebbe potuto smetterla di inseguire i “coerenti all’agenda Draghi” (un’altra espressione che non significa nulla, altro populismo senza nessun contenuto) e avrebbe potuto capire in fretta chi fossero i coerenti almeno con sé stessi. Il disastro, annunciato, consiste nell’avere concesso a Calenda di fare il Calenda.
E su questo il PD ha responsabilità enormi. Perfino Bettini risulta profeta in patria: «Calenda inaffidabile, io avevo avvertito durante la direzione Pd», ha scritto ieri. E ora? Ora il progetto “per fermare le destre” è fallito. Bisogna avere i coraggio di dirselo. Calenda (che è riuscito perfino a litigare con +Europa) finirà abbracciato a Renzi. Forse ora è il tempo di fare politica, più che i fan di agende che non esistono?