Anche le aree dell’Asta Tanaro, nell’astigiano e dell’Agogna-Terdoppio, tra le province di Novara e Vercelli, entrano nell’elenco delle zone a rischio aridità – come certifica l’Edo (European drought observatory) -, in un Piemonte caratterizzato, nonostante un incremento complessivo delle piogge, da ampie aree di siccità, da cui si salvano solo i bacini idrografici di Toce, Ticino, Sesia ed Orco.
Dall’inizio dell’anno permangono, invece, sotto media le portate dei fiumi Stura di Lanzo, Tanaro, Sesia. E’ quanto segnala il report settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche in linea con il monitoraggio dell’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po, che indica anche il delta del più grande corso d’acqua italiano, tra le province di Ferrara e Rovigo, nell’elenco delle zone, che evidenziano potenziali criticità causate soprattutto da un prolungato deficit nelle precipitazioni.
In questo quadro resta un sorvegliato speciale, l’Emilia Romagna dove, soprattutto l’area costiera è a forte rischio siccità, contrastato dalla fondamentale funzione del canale C.E.R. Gli altri corsi d’acqua non se la passano bene: Secchia ed Enza sono vicine al minimo storico; Reno, Savio e Trebbia registrano portate in calo e sono sotto media. Sono altresì quasi al massimo autorizzato i bacini piacentini di Molato (99,9%) e Mignano (97,6%).
Continuando a parlare di invasi, è buona la situazione dei grandi laghi con quote prossime o superiori alle medie: il Maggiore si attesta al 94,6% di riempimento, il Lario è al 74,7%, l’Iseo al 97,1 % (vicino al massimo storico), il Garda al 95%, Idro al 43,9%. I fiumi valdostani sono in forte ripresa, mentre tra quelli piemontesi crescono il Pesio e la Dora Baltea; in Lombardia è in leggerissima ripresa il fiume Adda, che rimane però al minimo dal 2017.
In Veneto, le portate dei fiumi sono in forte recupero. In Toscana sono sopra la media le portate dei fiumi Arno, Ombrone e Serchio, mentre resta deficitaria la Sieve. Come previsto dai rapporti dell’Edo, nelle Marche permane una situazione difficile con fiumi (praticamente dimezzate le portate di Potenza, Esino e Tronto) ed invasi lontani dai valori degli anni precedenti; in Umbria si registrano precipitazioni più scarse rispetto agli anni scorsi, ma la diga Maroggia si conserva in linea con la media. Restano pressoché invariate le condizioni dei corpi idrici del Lazio.
In Campania, i fiumi Sele e Garigliano risultano in calo, mentre resta sostanzialmente stabile il Sarno; in calo sono il lago di Conza e gli invasi del Cilento. Forti di una buona condizione generale (+103,1 milioni di metri cubi sul 2020), gli invasi della Basilicata calano di 9 milioni di metri cubi in una settimana, mentre un alert arriva dalla Calabria, dove l’invaso Sant’Anna è al livello minimo dal 2017. Analogamente alla Lucania, i bacini della Puglia calano di circa 8 milioni di metri cubi per la piena attività irrigua, ma è il Salento a fare notizia, perché entra nel report di maggio dell’Edo come una tra le zone in maggiore sofferenza idrica. Ne è esempio, l’incompiuta diga di Pappadai, in provincia di Taranto.
Vincenzi (Anbi): Occorre una moratoria sull’applicazione del deflusso ecologico
“Questi dati, con forti differenziazioni locali – afferma Francesco Vincenzi (nella foto), presidente dell’ Anbi – avvalorano la nostra richiesta di moratoria sull’applicazione del deflusso ecologico a partire dal prossimo 1 gennaio, così come previsto dalla direttiva dell’Unione europea; ciò deve interessare quelle aree, dove specifiche sperimentazioni dimostrino le gravi conseguenze, che l’applicazione di tale parametro di benessere fluviale avrebbe sull’ambiente e l’economia locali. È il caso, ad esempio, del territorio trevigiano attraversato dal fiume Piave. Gli indici per la gestione delle risorse idriche, in una variegata realtà come quella italiana, non possono essere generalizzati, ma devono essere come un abito su misura, soprattutto di fronte alle conseguenze della crisi climatica”.
Il Salento entra nel report di maggio dell’Edo come una tra le zone in maggiore sofferenza idrica. Ne è esempio, l’incompiuta diga di Pappadai, in provincia di Taranto, che una volta ultimata andrebbe a servire quella parte dell’Alto Salento, che ora irriga soltanto grazie a pozzi e autobotti: : i volumi invasati testimoniano una condizione peggiore dell’anno scorso. Quella delle opere incompiute – aggiunge Massimo Gargano, dg di Anbi – è una delle piaghe d’Italia e per questo abbiamo salutato l’inserimento della rete irrigua dall’invaso di Campolattaro, in Campania, tra le priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Nel 2017 ne avevamo censite 31, costate finora 537 milioni di euro, ma bisognose di altri 620 milioni per essere operative ed uscire dall’imbarazzante categoria degli sprechi. Nel nostro Piano di efficientamento della Rete Idraulica del Paese abbiamo previsto il completamento di 16: 4 al Nord, 6 rispettivamente al Centro ed al Sud. L’investimento necessario è di circa 451 milioni di euro, che attiverebbero 2.258 posti di lavoro”.