di GIOVANNA TOMASELLI. La peggiore fine possibile. Ignazio Marino esce dal Campidoglio senza nessun onore delle armi. E a mandarlo a casa sono tutti i consiglieri del Pd, ma anche della lista che porta il suo nome, con Svetlana Celli (Lista civica Marino), e poi Roberto Cantiani (Ncd), Daniele Parrucci (Centro democratico), Alfio Marchini (arrivato da Milano e ultimo a firmare. Firma anche il consigliere della lista Marchini, Alessandro Onorato e gli ex alemanniani Ignazio Cozzoli e Francesca Barbato. Alla fine la somma dice 26, uno cioè più del necessario per sciogliere l’assemblea. La storia di Marino finisce qui. E non è una bella storia, anche per come l’ormai ex sindaco ha gestito la parte finale, con giravolte, appelli sacrosanti alle regole della democrazia e meno edificanti minacce velate, trattative sotterranee e richiami alla piazza. Tanto folclore, insomma, mentre la città restava all’angolo con tutti i suoi problemi.
SETTE ORE AL NAZARENO
Da oggi dunque Roma non ha un sindaco, sostituito in serata dal prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca, che dovrà portare nella Capitale gli anticorpi alla corruzione. Le ferite lasciate dal chirurgo, soprattutto nel Pd, saranno difficili però da ricucire. Troppi i conti da regolare, le vendette che dovranno essere consumate. Per capire l’aria che tira bastava sentire la conferenza stampa del pomeriggio. Marino, amareggiato e con una rabbia dentro che ha soffocato persino l’unico momento di commozione alla fine del suo discorso, non ha risparmiato le accuse al Pd. È “come se un familiare mi avesse accoltellato – ha detto – perché chi mi ha accoltellato ha nome, cognome e un unico mandante”. Bordata chiara a Matteo Renzi e investitura ufficiale a diventarne il più acerrimo avversario. Quel leader degli anti renziani che nella Sinistra Pd manca, anche se sembra incomprensibile come il chirurgo possa restare in un partito con il quale il corto circuito è totale. Tra i 19 consiglieri che si sono dimessi, negandogli la possibilità di portare le sue considerazioni nell’Aula consiliare, ci sono infatti anche i rappresentanti dell’opposizione interna al premier. La verità è che neppure quella minoranza sa che farsene di un sindaco che non lascia un buon ricordo come amministratore, e nell’ultima disperata fase ha mostrato un attaccamento alla poltrona inspiegabile agli elettori.
ORFINI KO
A prendere inesorabilmente le distanze pure l’unico alleato per troppo tempo, quel Matteo Orfini che da commissario del Pd romano si è letteralmente bruciato. Troppo tardi, ormai, dalla trasmissione Otto e mezzo, il presidente Pd ha detto che: “Marino continua a dire le sue bugie. La verità è che ha commesso una enormità di errori. Sono mesi che dico che serve un salto di qualità mettendogli persone di qualità a disposizione. Il Pd e il sindaco devono ammettere che non è stata un’esperienza felice”. Un’esperienza che rischiava di scappare ancora più di mano e per questo il partito ieri si è blindato sette ore al Nazareno. Si usciva solo con la decisione all’unanimità di dimettersi in blocco. E così è stato. Marino non dava più garanzie a nessuno. Troppo incontrollabile e pronto a farsi esplodere con chiunque ritenesse suo nemico. Praticamente ormai il Pd per intero.