Cambiano i governi, ma quello che in Italia non cambia mai è la solita burocrazia che blocca qualsiasi intervento. Va così da sempre e su tutto e non poteva andare diversamente sul delicatissimo fronte del dissesto idrogeologico. Nel Paese europeo a maggior rischio frane – ieri l’ondata di maltempo che ha colpito Sicilia e Calabria ha fatto l’ennesima vittima (leggi l’articolo) – le opere per evitare disastri restano dunque al palo e anche il piano “ProteggItalia” ha finito per rivelarsi un flop.
A mettere il dito nella piaga e a chiedere una vera e propria inversione di tendenza con il Pnrr è ora la Corte dei Conti, al termine di un’indagine sull’attuazione appunto del “ProteggItalia” (qui il focus), i cui esiti sono stati trasmessi a Palazzo Chigi, ai Ministeri della transizione ecologica, dell’economia e finanze, delle politiche agricole, della difesa e dell’interno, all’Ispra, all’Agenzia per la coesione territoriale, alla Regione Sardegna e all’Anci.
IL RAPPORTO. I magistrati contabili hanno sottolineato che il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale” ha mobilitato risorse economiche, nazionali e comunitarie, per 14,3 miliardi di euro in 12 anni, dal 2018 al 2030, destinate alle Regioni e agli enti locali, unificando il quadro generale dei finanziamenti, ma “non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa”.
La Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, ricordando anche che l’Italia, con circa i due terzi delle frane censite in Europa, è il Paese maggiormente interessato da fenomeni franosi, denuncia infatti che, “nonostante i numerosi interventi normativi, organizzativi e procedurali, il contrasto e la prevenzione del dissesto idrogeologico rappresentano in misura crescente un’emergenza nazionale e una vera priorità per il Paese”.
Nel Pnrr sono stati destinati a tale emergenza, dal 2020 al 2026, 2,487 miliardi di euro, di cui 1,287 di competenza del Ministero della transizione ecologica retto da Roberto Cingolani (nella foto), a cui spetterà il compito più che ad altri di snellire le procedure per evitare l’ennesima paralisi mentre il maltempo continua a seminare morte e distruzione.
IL PUNTO. Per i magistrati è necessario superare le gestioni straordinarie e semplificare i processi verso un rientro ad un regime ordinato di competenze, con una programmazione in via ordinaria della gestione del territorio che, oltre a garantire la progettazione e realizzazione degli interventi, sia guidata da una adeguata pianificazione in coerenza con le Direttive europee alluvioni e acque.
Fra le principali criticità, sono state poi evidenziate quelle dell’eccessiva proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi relativi agli interventi e della debolezza degli strumenti e delle modalità di pianificazione territoriale, in grado di attuare una politica efficace di prevenzione e manutenzione.
“Nonostante le semplificazioni introdotte, restano rallentati – sostiene la Corte dei Conti – sia l’adozione dei processi decisionali che quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali”. Ulteriori problematiche irrisolte sono poi quelle della capacità progettuale delle Regioni, della carenza di profili tecnici e della scarsa pianificazione del territorio. E non va meglio con la Governance: troppe strutture impegnate nei processi decisionali. I magistrati auspicano “che l’introduzione del nuovo assetto organizzativo di governo del Pnrr possa contribuire a superare tali criticità, semplificando le strutture e le procedure di attuazione”.
Troppo pesante del resto lo stesso quadro venuto fuori dal monitoraggio dei cantieri. “La durata media complessiva degli interventi finanziati non mostra sostanziali differenze tra le diverse aree geografiche del Paese: gli interventi finanziati nel Centro hanno tempi di attuazione medi di 4,6 anni di durata, al Nord di 4,8 anni ed al Sud e Isole di 4,9 anni, mentre più è alto il costo dell’intervento, più aumenta il tempo di realizzazione”, ha sostenuto la Corte dei Conti.
Una criticità che, per i magistrati, si aggiunge alla scarsa capacità di spesa e che testimonia quanto la lentezza nell’attuazione degli interventi rappresenti, “insieme alle vischiosità dei processi decisionali, alla mancanza di una vera pianificazione del territorio, alla carenza di profili tecnici adeguati all’interno degli enti territoriali, uno dei punti dolenti del problema dissesto in Italia”.