Non ha incassato alcuna cifra aggiuntiva perché non è stato previsto nessun patto di non concorrenza. Ma Mauro Moretti, ex amministratore delegato e direttore generale di Leonardo, può comunque stare sereno, per dirla col gergo renziano. Giovedì l’ex Finmeccanica ha annunciato che gli staccherà un assegno da 9,2 milioni di euro, che gli saranno accreditati entro 40 giorni dalla formalizzazione della fine del rapporto. Un bel gruzzoletto, non c’è che dire, al quale verranno aggiunti altri 180 mila euro di competenze di fine rapporto e quel che gli spetta per i diritti maturati “nell’ambito della partecipazione ai piani di incentivazione a breve e medio-lungo termine”. Totale: 9,4 milioni, centesimo più-centesimo meno. Il tutto per appena tre anni di lavoro. Il sogno di qualunque comune mortale, insomma. Ma nella fortuna, pensate, Moretti è stato un po’ sfortunato. Proprio così. I 9,4 milioni che intascherà da qui a breve non sono infatti bastati a farlo entrare nella Top 10 dei paperoni delle buonuscite (si piazza quindicesimo). Banchieri, manager e industriali che, una volta terminati i propri servigi nell’azienda di turno, sono andati via con una valigetta piena zeppa di milioni di euro.
Come te nessuno mai – La classifica, recentemente elaborata da L’Economia col direttore del dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi Arnaldo Camuffo, vede al primo posto l’inarrivabile Cesare Romiti. Che nel 1998, anno della sua uscita dalla Fiat (nella quale era entrato nel 1974 per poi diventare due anni dopo direttore generale), percepì una buonuscita che comprensiva del patto di non concorrenza si attestò a 105,3 milioni. Circa 65 milioni in più di Alessandro Profumo, proprio l’uomo che ha preso il posto di Moretti a Leonardo, che quando lasciò Unicredit nel 2010 dovette “accontentarsi” di 40,4 milioni, due dei quali decise di donare in beneficenza. La medaglia di bronzo è invece finita al collo di Matteo Arpe. Il banchiere, oggi al vertice del fondo Sator e Banca Profilo, se ne andò da Capitalia nel 2007 con una liquidazione da 37,4 milioni per sette anni di attività. Anche scendendo dal podio, comunque, non è che i “nostri” se la passino poi tanto male. L’addio di Luca Cordero di Montezemolo alla Ferrari, per esempio, è valso all’ex presidente di Alitalia un “gruzzoletto” da 27 milioni (compreso il patto di non concorrenza). Anche in questo caso, siamo certi che Montezemolo non ci sarà rimasto male per essere finito dietro al terzetto di testa, visto che dal 2002 al 2014 ha incassato dalla Rossa di Maranello 112 milioni di compensi fra stipendi, bonus e stock option.
Chi si accontenta… – Venti milioni è invece la cifra percepita dall’ingegner Paolo Cantarella, che nel 2002 si dimise da amministratore delegato della Fiat dopo 25 anni, col “profondo rammarico” della società. Che dire poi di Roberto Colannino e del potentissimo Cesare Geronzi? Nel 2001 primo disse addio l’Olivetti – della quale era diventato Ad nel ’96 – con 17 milioni di buonuscita; il secondo invece mise a segno un vero colpo da maestro, prendendo 16,7 milioni da Generali dopo un solo anno (marzo 2010-aprile 2011). A chiudere la Top 10 c’è un altro terzetto di pezzi da novanta:Giovanni Bazoli, che ricevette 15 milioni da Banca Intesa donandone 5 in beneficenza, Carlo Puri Negri (14 milioni da Pirelli Re compreso il patto di non concorrenza) e Andrea Guerra: 11,4 milioni per i dieci anni passati a Luxottica.
Che vecchiaia – Pure uscendo dalle prime dieci posizioni le cifre sono, diciamo così, di tutto rispetto. Hanno preso dieci milioni a testa, in anni diversi (sia per quanto riguarda l’uscita dall’azienda sia di servizio), Riccardo Ruggiero (Telecom Italia), Federico Ghizzoni (l’ex Ad di Unicredit tirato in ballo da Ferruccio de Bortoli nel suo ultimo libro sul caso-Banca Etruria),Pierfrancesco Guarguaglini (Finmeccanica) e Fausto Marchionni (Fondiaria-Sai). Paolo Scaroni, sedicesimo in graduatoria – scavalcato da Moretti –, ricevette da Eni 8,3 milioni; Flavio Cattaneo, oggi amministratore delegato di Telecom Italia, 7,6 da Terna. Mentre Fulvio Conti e Marco Patuanone intascarono 6 rispettivamente da Enel (compreso il patto di non concorrenza) e Telecom Italia. E ancora: Alessandro Pansa, solo omonimo dell’ex capo della Polizia ma figlio del noto giornalista Giampaolo, nel 2014 uscì da Finmeccanica con “un’indennità compensativa” e “risarcitoria” di 5,45 milioni più 80 mila euro, a fronte di rinunce specifiche effettuate nell’ambito della risoluzione del rapporto. Tutti, ne siamo certi, passeranno una vecchiaia più che serena.
Twitter: @GiorgioVelardi