Un disastro bello e buono. Che ha un responsabile, almeno da un punto di vista istituzionale. Raffaele Fitto, ministro con delega proprio all’attuazione del Pnrr. Un’attuazione che a quanto pare non sta dando i suoi frutti. Negli ultimi giorni è stata depositata in Parlamento la terza relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la prima redatta dal governo Meloni.
Ebbene, a leggerla approfonditamente è difficile trovare alibi: il documento non nasconde le difficoltà del nostro Paese nella realizzazione del piano. A partire dall’erogazione della terza rata, il cui processo di valutazione da parte della commissione europea sarebbe “in fase di completamento”.
Ma partiamo da principio. Fra i principali elementi di criticità vengono citati i vincoli europei che avrebbero rallentato la realizzazione di molti progetti, la scarsa capacità amministrativa degli enti locali e il mutato contesto internazionale. Il documento tuttavia resta vago nello spiegare quali soluzioni l’esecutivo intende proporre a Bruxelles per riformulare il piano italiano. Ciò che sembra certo però è che la revisione coinvolgerà anche alcuni interventi di questo semestre, mettendo inevitabilmente a rischio la richiesta della quarta rata di risorse.
Finora abbiamo speso appena 25,7 miliardi. Entro l’anno si deve arrivare a 58,3 oppure addio alla quarta rata del Pnrr
Ed è su questi aspetti che si concentra un ampio lavoro di analisi di OpenPolis. “Il nostro Paese rischia di bloccarsi nell’attuazione delle scadenze del semestre in corso e di non richiedere la quarta rata a fine giugno. È la relazione stessa a esplicitare questa preoccupante possibilità”, spiega la piattaforma di analisi e monitoraggio politico. Tanto per fare un esempio: alcuni degli adempimenti previsti per il secondo semestre 2023 saranno infatti coinvolti nella proposta di revisione.
Due scadenze rischiano ritardi: l’aggiudicazione degli appalti pubblici per il rinnovo del parco ferroviario e la firma del contratto per realizzare 9 studi cinematografici. Altre due invece sono sotto revisione. Parliamo della ristrutturazione di edifici attraverso superbonus e sismabonus e dell’aggiudicazione degli appalti pubblici per lo sviluppo di stazioni di rifornimento a base di idrogeno. “Se ciò fosse confermato, la quarta rata non verrà richiesta a fine giugno, ma solo in un secondo momento rispetto all’approvazione delle modifiche. Un processo che potrebbe durare diversi mesi e che al momento è lontano dall’essere avviato. Per quanto legittima quindi, l’intenzione di modificare le scadenze del semestre in corso rischia di causare ulteriori ritardi nell’avanzamento sia dei lavori sia della spesa”.
Il dato è emblematico: solo 10 le scadenze completate sulle 27 previste entro fine giugno. Inoltre è importante ricordare che l’Italia sta ancora aspettando la terza rata di fondi Pnrr (19 miliardi di euro), rinviata dalla Commissione per delle criticità individuate su alcuni progetti approvati nel 2022. Ma come siamo arrivati a questa situazione? Il governo individua 3 motivazioni principali. La prima è legata ai vincoli che il Pnrr impone sugli investimenti. Su tutti, il principio del non arrecare danno significativo all’ambiente che molti interventi non rispettano, ostacolando il raggiungimento dei target previsti.
È il caso soprattutto dei progetti “in essere”, che risalgono a prima del piano e che quindi non prevedevano il rispetto di tale principio. E non parliamo certo di bruscolini: sono ben 67 i miliardi destinati a tali progetti. La seconda ragione, strettamente legata alla prima, è la capacità amministrativa carente degli enti pubblici territoriali. Specialmente dei comuni, che hanno un ruolo di primo piano nell’attuazione del Pnrr ma spesso faticano a seguire i processi necessari alla realizzazione dei progetti. Un problema che riguarda soprattutto le amministrazioni più piccole e svantaggiate. Infine in questo quadro ha inciso il mutamento del contesto economico internazionale. Nella relazione infatti si evidenzia che l’aumento del costo delle materie prime ha di fatto reso irrealizzabili alcuni interventi con i fondi previsti.
Tutto questo determina anche un ritardo nella spesa. Già, perché l’Italia ha speso meno del previsto: 25,7 miliardi, cioè solo il 13,4% del totale. Il problema è che entro il 2023 il nostro Paese dovrebbe spendere ben 58,3 miliardi (il 30,4%) È vero che questa cifra si riferisce a tutto il 2023 e che mancano ancora diversi mesi alla fine dell’anno. Tuttavia è quantomeno inverosimile che il nostro Paese riesca a recuperare un simile ritardo entro dicembre, osserva OpenPolis. Un disastro, dunque. Come d’altronde aveva notato anche la Corte dei conti. Prima che l’esecutivo avviasse una battaglia anche contro i magistrati contabili.