Di Alberto D’Argenio per Repubblica
A Bruxelles prendono nota con grande attenzione dei movimenti del governo italiano sul fronte economico. E non è sfuggita la frase che Renzi ha consegnato al Financial Times : «Speriamo di chiudere l’anno con un deficit al 2,9%».
Parole che viste dalle istituzioni europee suonano quasi come una dichiarazione di guerra. Si profila uno scontro tra Roma e Bruxelles. Già, perché pur restando sotto la soglia del 3%, senza sforzi aggiuntivi l’Italia comunque non manterrebbe gli impegni presi con l’Europa rischiando una procedura per deficit che manderebbe in tilt i rapporti con i vertici dell’Unione.
Nella capitale belga l’immagine di Renzi inizia ad appannarsi. Almeno così la pensano gli alti funzionari, e alcuni politici ai vertici delle istituzioni Ue. Ma il premier è pronto allo scontro. Il tutto nasce dalla fermezza con il quale l’ex sindaco di Firenze ha sostenuto la candidatura a ministro degli Esteri Ue di Federica Mogherini.
Se il capo del governo avesse accettato di mandare Enrico Letta alla guida del Consiglio europeo – ricordano oggi diverse fonti Ue – e avesse ceduto su Mr Pesc prendendo in cambio un altro portafoglio di peso nella nuova Commissione, nell’ottica dei partner europei avrebbe collaborato a risolvere il risiko delle nomine, invece ancora aperto, e avrebbe avuto due posizioni di rilievo per aiutare Roma e Parigi ad ottenere la reclamata flessibilità sui conti. Invece, nota un diplomatico del Nord Europa, «si è mosso in modo troppo veemente» e se anche otterrà il via libera alla Mogherini i leader e i capi delle istituzioni chiuderanno ogni credito nei suoi confronti. Almeno questa è la percezione che si respira, a torto o a ragione, a Bruxelles.
La partita è delicata. Renzi prima dello scontro sulla Mogherini aveva ottenuto una dichiarazione dei leader sulla flessibilità, poi confermata da Juncker, presidente della nuova Commissione europea – vero arbitro sui conti – che entrerà in carica a novembre. Ma il clima non è dei migliori e, notano con allarme le sentinelle del governo a Bruxelles, il gabinetto di Juncker è decisamente ispirato dalla filosofia rigorista tedesca. Non faccia dunque illudere la frase con la quale ieri un portavoce della Commissione uscente, quella guidata da Barroso, ha chiuso la polemica sulle rifor- «È con le riforme strutturali che si creano le condizioni per crescita e occupazione, ma la loro realizzazione è una questione che riguarda l’Italia». Nessun appeasement, la battaglia deve ancora iniziare.
A Roma lo sanno, e non si spaventano. Tutto gira intorno alle nuove regole Ue: non basta essere sotto il 3%, bisogna ridurre il deficit strutturale (depurato dal ciclo economico) in modo da abbattere il debito. Ma l’Italia senza una robusta manovra non ce la farà, tanto che anche Moody’s vede la montagna del debito in salita (136,4% nel 2014). Il che basterebbe per aprire una procedura per deficit e debito eccessivo, pur rimanendo sotto il 3%.
«Con il pilota automatico, se non ci sarà la rivoluzione sulla flessibilità – spiega un’autorevole fonte comunitaria – è scontato che il procedimento verrà avviato». Con il rischio di levare margini di manovra al governo. Ma la reazione che si raccoglie tra il Tesoro e Palazzo Chigi è netta: «Se veramente l’Europa pensa di imporre nuovi sacrifici a un Paese in recessione e sotto al 3%, noi tireremo dritti, non faremo manovre, tagli al sociale e nuove tasse». Anzi, spiegano diversi ministri, «nel caso Renzi aprirà un braccio di ferro con Bruxelles, dicendo che il problema non è l’Italia, ma l’Europa che non funziona». Per il premier quello che conta è restare sotto al 3%, anche al 2,99, perché sforando il tetto di Maastricht – contando anche l’enorme debito – la sua posizione sarebbe indifendibile. Ma sotto al 3% è certo di potersela giocare.
La prima battaglia sarà in autunno, quando l’attuale commissario all’Economia, il finlandese Katainen, giudicherà la Legge di stabilità. Poi si insedierà la nuova Commissione e far andare all’Economia il francese Moscivici, uomo considerato in grado di portare avanti la flessibilità, è la madre di tutte la battaglie per Roma e Parigi. Ma il suo posto potrebbe andare all’olandese Dijsselbloem, considerato meno morbido. L’esito finale dello scontro ci sarà a maggio del 2015, quando Bruxelles potrebbe mettere sotto procedura l’Italia per i conti 2014.