C’era una volta un’Unione Europea che sognava di abbattere frontiere. Poi è arrivata la paura, quella cieca e irrazionale, e quel sogno si è trasformato in un incubo fatto di filo spinato e muri. L’incubo continua. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in preda al panico elettorale, ha deciso di gettare alle ortiche decenni di conquiste europee per inseguire i fantasmi dell’estrema destra. Dal 16 settembre, la Germania reintrodurrà i controlli alle frontiere con tutti i nove paesi confinanti. Un gesto tanto simbolico quanto inutile, che fa felice solo Viktor Orbàn e i suoi sodali nazionalisti.
La Germania e il domino delle frontiere: l’effetto Scholz sull’Europa
Come ci ricordano David Carretta e Christian Spillmann nel loro Mattinale Europeo, è bastato il successo di Alternativa per la Germania in un paio di elezioni regionali per far crollare il castello di carte dell’integrazione europea. Scholz, terrorizzato dallo spettro di AfD, ha deciso di giocare la carta più facile e demagogica: fingere di poter sigillare ermeticamente i confini nazionali. La verità è che “nell’Ue è impossibile sigillare le frontiere, a meno di non sacrificare il mercato unico”. Scholz lo sa benissimo, ma preferisce rassicurare l’elettorato con l’illusione di una Germania-fortezza inespugnabile.
Il risultato è un effetto domino che rischia di far crollare uno dei pilastri dell’Unione: l’area Schengen. L’Olanda, sotto la spinta dell’ultradestra di Geert Wilders, si prepara a seguire l’esempio tedesco. La Polonia minaccia ritorsioni. L’Austria alza le barricate. E così, mattone dopo mattone, si ricostruisce quel muro che credevamo di aver abbattuto per sempre nel 1989.
La sinistra europea, ancora una volta, cade nella trappola di rincorrere la destra sul suo terreno. Pensano di poter battere i populisti giocando la loro stessa partita ma finiscono solo per legittimarli e rafforzarli. È la solita, triste storia: più la sinistra si sposta a destra, più la destra si radicalizza. E alla fine l’unico vincitore è l’estremismo.
Nel frattempo la Commissione europea balbetta timidi richiami alla “proporzionalità” delle misure, ma non ha il coraggio di alzare davvero la voce contro la deriva securitaria tedesca. Bruxelles, terrorizzata dall’idea di scontentare Berlino, si limita a raccomandare che i controlli siano adottati come “ultima risorsa”. Ma ormai è tardi: il vaso di Pandora è stato scoperchiato.
Schengen sotto assedio: il prezzo della paura
E mentre i grandi della politica giocano la loro partita a scacchi, sono i cittadini comuni a pagarne il prezzo. Come ci racconta Vincenzo Genovese per Euronews gli abitanti delle zone di confine guardano con apprensione al ritorno delle frontiere. “Non ho niente da nascondere, ma non lo trovo molto giusto. Dovrebbero evolversi, non tornare al passato”, dice Marijke Van Caekenberghe, una cittadina belga intervistata al confine con la Germania.
La decisione tedesca si inserisce in un contesto già teso. Solo nel 2024, dieci Paesi dell’area Schengen hanno reintrodotto controlli ad alcune delle proprie frontiere, per motivi di lotta al terrorismo e controllo dell’immigrazione irregolare. La Germania, in particolare, ha esteso i controlli a tutti i suoi confini terrestri per i prossimi sei mesi, dal 16 settembre 2024 al 15 marzo 2025.
Quella tedesca non è una mossa isolata. L’Austria ha controlli in vigore ai confini con Slovenia, Ungheria e Slovacchia dal 2015, introdotti per cercare di fermare i flussi in arrivo via la rotta dei Balcani. La Francia ha reintrodotto controlli a luglio, mentre quelli con Svizzera, Polonia e Repubblica Ceca sono in vigore da giugno.
Il Codice Schengen prevede la possibilità di reintrodurre temporaneamente i controlli alle frontiere in caso di minaccia alla sicurezza nazionale o per ragioni di ordine pubblico. Tuttavia, come sottolineano Carretta e Spillmann, ciò che dovrebbe essere una misura temporanea ed eccezionale rischia di diventare la norma.
Dal settembre 2015, quando la Germania per prima reintrodusse i controlli alle frontiere per fermare i flussi di rifugiati sulla rotta dei Balcani, la lista delle notifiche si è gonfiata sempre più. Da 37 casi di reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere registrati tra il 2006 e il 2015, nei nove anni successivi si è passati a 442 notifiche.
La svolta in Germania e i reali rischi per l’Europa
Il rischio concreto è che questa tendenza porti a un progressivo smantellamento dell’area Schengen. L’Ungheria e i Paesi Bassi chiedono già un “opt-out” dalle politiche migratorie comuni dell’UE. Il premier ungherese Viktor Orban, in particolare, sta spingendo per una gestione esclusivamente nazionale delle frontiere.
Tutto questo avviene nonostante gli sforzi fatti negli ultimi anni per rafforzare la gestione comune delle frontiere esterne dell’UE. La Commissione von der Leyen aveva presentato un nuovo Patto su migrazione e asilo come soluzione ai problemi di gestione dei flussi migratori. Tuttavia il dispositivo – che prevede centri chiusi ed espulsioni più sbrigative sul modello delle isole in Grecia – non sarà pienamente operativo prima di due anni.
Sullo sfondo Orbàn e i suoi amici sorridono soddisfatti.