“Ci sono partiti politici che giocano sull’insicurezza” e che “ignorano cosa sia lo Stato di diritto”. A dirlo è Giuseppe Di Lello, il magistrato che ha fatto parte del pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, convinto che lo sdegno della politica per la scarcerazione di Giovanni Brusca sia del tutto fuori luogo.
Dopo 25 anni e con il fine pena, il boss Brusca, autore di alcune delle pagine più buie d’Italia, è stato scarcerato. Come ha vissuto la notizia?
“Guardi sono uno dei più favorevoli alle leggi premiali perché erano e sono l’unico mezzo per cercare di penetrare un’organizzazione chiusa e impermeabile dall’esterno. Certamente queste norme prevedono un premio e quindi Brusca che ha scelto di collaborare, raccontando fatti e innumerevoli omicidi, ha scampato l’ergastolo. Scontata la pena è ovvio che doveva essere scarcerato ma questo non significa che è tornato in libertà perché sono state prese tutte le precauzioni, inclusi quattro anni di libertà vigilata. Non possiamo esaltare le leggi che ci aiutano a sconfiggere la mafia e dopo fare finta di niente sul costo che comportano”.
Sul caso si è sollevato un polverone politico con la gara a chi si indigna di più. Eppure la scarcerazione di Brusca è avvenuta nel rispetto della legge. Come si spiega tanto sdegno?
“È soprattutto un gioco delle parti. Ci sono alcuni partiti politici che giocano molto sull’insicurezza dei cittadini e questo caso, ovviamente, cade a fagiolo per giustificare le loro tesi. In questi giorni tanti dicono che è inaccettabile che un pluriomicida venga scarcerato ma questa è ignoranza dello Stato di diritto che, invece, deve rispettare i patti che ha fatto. Vede la politica è fatta così, ha alti e bassi oltre a continue cadute di stile. Avrà notato che l’indignazione è stata davvero bipartisan e ha riguardato tutti gli schieramenti politici che si sono detti insoddisfatti per l’accaduto. Credo che questo sia il segno che è venuto meno il senso delle regole. Si tratta di qualcosa che riguarda soprattutto il centrodestra ma, me lo lasci dire, anche il Pd non scherza affatto”.
Mentre Maria Falcone chiede di salvare l’ergastolo ostativo, recentemente bocciato della Consulta, Matteo Salvini chiede di ridurre i benefici anche per i pentiti. Quanto propone il leader leghista non le sembra un controsenso?
“Assolutamente si. Poi addirittura invocare una modifica di queste leggi, per giunta in questo momento storico, è estremamente pericoloso. Se lei vede, ormai non ci sono più omicidi perché, da anni, è stata stroncata la mafia che spara e uccide proprio grazie a quelle leggi premiali che ora qualcuno critica. Si tratta di norme che hanno sconfitto la cultura dell’omertà per sostituirla con la cultura della vita. Qualcosa che è stato inaugurato da Buscetta che non ha collaborato perché si è pentito ma perché gli conveniva farlo, esattamente come allo Stato è convenuto che Buscetta cooperasse alle indagini. Questo dimostra che l’incentivo dato a chi collabora non è soltanto utile ma è letteralmente necessario se vogliamo continuare a combattere la mafia”.
Se dovesse passare la linea del centrodestra con Meloni e Salvini che dicono che “uno come Brusca non può uscire dal carcere”, quali ripercussioni potrebbe avere la lotta alla mafia?
“Cambia tutto perché a quel punto quando si fanno degli arresti, nessuno avrebbe motivo per collaborare. Diciamoci la verità, le indagini senza i pentiti raramente vanno avanti e spesso si incagliano. Basta questo per capire che si tratta di un contributo essenziale e quindi non si può pensare di eliminare i benefici e i permessi premio che rendono la carcerazione più digeribile e invogliano a collaborare. Deve considerare che non c’è mai stato un mafioso che ha deciso di consegnarsi spontaneamente. La collaborazione è solo di natura utilitaristica“.
Da tempo si dibatte sulla natura del pentimento dei boss. Secondo lei è così improbabile che anche il più efferato dei mafiosi cambi in carcere?
“Io al pentimento interiore non ci credo. In tutti questi anni i mafiosi hanno collaborato solo per ottenere in cambio benefici e premi. Certo non posso escludere che qualcuno si sia realmente pentito ma comunque non è questo il punto del discorso perché lo Stato si deve solo attenere ai fatti anche perché il pentitismo non è rilevabile”.