Lo sanno anche i muri che a Renato Brunetta lo smart working non è mai piaciuto. Ma ieri il ministro della Pubblica amministrazione l’ha proprio sparata grossa sostenendo, in soldoni, che chi lavora da remoto fa in realtà finta di lavorare, a parte poche eccezioni. “Il Governo Draghi ha fatto la grande scelta, vaccini e presenza, vaccini con la gente sul posto di lavoro, non lo smart working, non chiudersi in casa e non vaccinarsi”, ha detto.
“Vaccini con tutti gli strumenti possibili, stiamo superando la pandemia e abbiamo fatto il record del Pil. Abbiamo gestito al meglio la pandemia, quasi i più bravi in Europa”, la premessa del suo ragionamento. E poi l’affondo: piuttosto che “chiusi in casa con il telefonino sulla bottiglia del latte a fare finta di fare smart working, perché diciamocelo a far finta di lavorare da remoto, a parte le eccezioni che ci sono sempre, vaccini e presenza con l’organizzazione migliore del lavoro”.
Affermazioni che rendono lampante quanto sia “costato” al ministro, il 5 gennaio adottare d’intesa con il collega al Lavoro, Andrea Orlando, una circolare rivolta alle pubbliche amministrazioni e alle imprese private per raccomandare il massimo utilizzo, nelle settimane a venire, della flessibilità prevista dagli accordi contrattuali in tema di lavoro agile (leggi l’articolo). Una circolare evidentemente che il ministro ha dovuto subire più che altro, quando il Paese era di nuovo nel pieno della nuova ondata pandemica. Ma ora che i dati della curva epidemiologica risultano in miglioramento si è sentito libero, evidentemente, di riprendere la sua crociata contro lo smart working.
Una guerra di religione che incontra la ferma opposizione di sindacati e di alcune forze politiche, come il Movimento Cinque Stelle. A reagire immediatamente è stata la Cigl di Maurizio Landini. “Il ministro Brunetta continua a puntare il dito contro i dipendenti della pubblica amministrazione. Le sue dichiarazioni indignano e screditano il lavoro di tutti coloro che, in questi mesi di emergenza sanitaria, proprio grazie al lavoro agile e affrontando le difficoltà legate alla infrastrutturazione digitale, sono riusciti a garantire la continuità dei servizi, preservando al contempo la salute dei cittadini e dei lavoratori. A loro andrebbe detto grazie”, ha affermato la segretaria confederale Tania Scacchetti.
“Crediamo – aggiunge – che si debba scommettere sullo smart working, investire in questa nuova forma di organizzazione del lavoro anche attraverso i rinnovi dei contratti. L’innovazione della pubblica amministrazione a cui il ministro dice giustamente di tenere, non si raggiunge attraverso il controllo o il lavoro solo in presenza, ma valorizzando le professionalità e responsabilizzando così lavoratrici e lavoratori nelle proprie attività”. Basiti si dichiarano i pentastellati. “Nonostante ci siano studi che dimostrano come, grazie allo smart working, la produttività sia aumentata durante la pandemia, il ministro per la Pubblica amministrazione continua a sparare a zero contro questa modalità di esecuzione del lavoro. E lo fa, anche oggi, con il suo solito mix di stereotipi e luoghi comuni”, affermano i deputati del M5S in commissione Lavoro.
“Abbiamo sostenuto e sosteniamo la vaccinazione come la via maestra per far ripartire l’Italia velocemente e in sicurezza – proseguono – ma non si può certo obiettare sul fatto che in questi due anni il Paese sia potuto andare avanti anche grazie al lavoro agile. Per tale motivo, dipingere sempre e comunque i lavoratori in smart working come dei ‘fannulloni’ è un insulto gratuito e infondato. Noi, al contrario, crediamo che esso vada incentivato e meglio regolamentato e lavoreremo per raggiungere questo obiettivo”, assicurano.