Il Bonus bebè è entrato ufficialmente in Gazzetta Ufficiale lo scorso 10 aprile e, a distanza di due settimane dalla sua approvazione definitiva, sarà possibile presentare domanda all’Inps. Il Premier è stato di parola. Più o meno. L’inghippo – perché ce n’è sempre uno – sta nei parametri adottati come criterio di inclusione/esclusione al bonus, il reddito soglia è stato decisamente ritoccato rispetto a quanto annunciato qualche mese fa nello studio della nota politologa Barbara D’Urso. Il reddito diventa l’unico criterio adottato per la concessione del sussidio, farà testo il nuovo Isee 2015, fiore all’occhiello, insieme al 730 precompilato, della linea dura inaugurata da Palazzo Chigi per combattere l’evasione fiscale.
In cosa consiste il Bonus bebè
Il sussidio, reso definitivo tramite Gazzetta Ufficiale n. 83 del 10 aprile 2015, prevede l’erogazione di un importo annuo pari a 960 euro, equivalente a 80 euro mensili, erogati per i primi 3 anni di vita del neonato. Il bonus raddoppia e arriva a 160 euro mensili per le famiglie il cui l’ISEE sia non superiore ai 7.000 euro annui. Il Bonus bebè è riservato a nuclei famigliari con un ISEE non superiore ai 25.000 euro annui in cui sia stata registrata la nascita o l’adozione di un bambino nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017.
Modalità di richiesta
I richiedenti che rispettano i parametri indicati possono presentare domanda all’INPS a partire dal giorno della nascita del figlio e fino ai 90 giorni successivi. Domande presentate in un periodo successivo non comporteranno la decadenza del diritto al bonus ma l’erogazione dello stesso verrà posticipata al mese in cui la domanda è pervenuta agli uffici preposti. La richiesta deve essere inoltrata all’INPS in modalità telematica e il reale possesso dei requisiti richiesti dovrà essere dimostrato attraverso autocertificazione presentata dal richiedente.
Le decaduta del diritto al Bonus bebè può essere dovuta a una serie di motivazioni: la modificazione delle condizioni reddituali dell’intestatario della domanda; il decesso del neonato; la perdita dell’esercizio della responsabilità genitoriale; l’affidamento del figlio a soggetti altri da quelli a cui è intestata la domanda; nei casi di adozione, la revoca della stessa.
Un mezzo inganno
Al di là delle accuse di assistenzialismo e di politica clientelare rispondente a una dinamica assimilabile a quella, velata, della compravendita del consenso, fa storcere il naso anche lo scarto fra come il provvedimento sia stato venduto mediaticamente dall’ex Sindaco di Firenze e come, nei fatti, sia stato applicato. Si era parlato di un incentivo alle nascite che si sarebbe dovuto rivolgere urbi et orbi e che, invece, è stato offerto solo a una frazione minoritaria della popolazione contributiva italiana. Sperando che, perlomeno, i 202 milioni di euro stanziati siano sufficienti a coprire le richieste degli aventi diritto, altrimenti toccherebbe all’INPS, che monitora l’aspetto fiscale, far scattare l’allarme e richiedere nuovi provvedimenti.