Segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri, sono di qualche giorno fa le 1041 bare in Piazza del Popolo portate dalla Uil per denunciare le morti sul lavoro. Come porre concretamente fine a questa strage?
“Innanzitutto, bisogna sconfiggere il sentimento di rassegnazione che porta a considerare le morti sul lavoro una fatalità inevitabile e non, invece, la conseguenza del mancato rispetto delle norme. Spesso, anzi, sono causate dalla sfrenata ricerca del profitto ad ogni costo e dalla volontaria manomissione dei dispositivi di sicurezza. In questi casi, noi pensiamo che si tratti non di infortuni, ma di omicidi sul lavoro e che, perciò, occorra istituire questo reato, insieme anche a una procura speciale. Servono più prevenzione e formazione, più ispettori e ispezioni, ma anche più investimenti: 12 milioni di euro per le prossime assunzioni sono niente se comparati ai 600 milioni trovati in 48 ore per gli agricoltori. La patente a punti, poi, che era una nostra proposta, va completamente riformulata e bisogna eliminare i subappalti a cascata. Ecco, se si parte da questi punti si possono fare passi concreti per porre fine a questa strage”.
Veniamo al paradosso italiano di persone che non trovano lavoro e di imprenditori che non trovano lavoratori. Quale l’origine e il rimedio a un simile mismatch?
“Intanto, il sistema di collocamento pubblico è stato, di fatto, smantellato. Identica fine è stata riservata ai navigator, giovani professionisti formati e competenti, che avrebbero meritato di essere valorizzati e adeguatamente utilizzati a tal fine. Dunque, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro non ha luoghi idonei per realizzarsi. Una condizione, questa, peggiorata anche dallo scollamento tra istruzione scolastica e avviamento al lavoro e dal limitato utilizzo del contratto di apprendistato. Inoltre, una parte di manodopera, richiesta in particolare da alcune aziende del Nord, si potrebbe reperire regolarizzando e formando quegli immigrati che oggi sono comunque già nel nostro Paese, ma in balia degli eventi e di persone poco raccomandabili. C’è poi, in ultimo, un altro aspetto. Se a un giovane che magari ha anche la laurea e conosce più di una lingua gli si offre un lavoro in nero o, comunque, mal retribuito e con condizioni di lavoro al limite dello schiavismo, è normale ed è persino giusto che quel ragazzo si rifiuti di accettare. Chi si lamenta del mismatch, evidentemente, non considera e non valuta tutti questi aspetti”.
Quando il lavoro c’è, troppe volte non coincide con l’emancipazione da una condizione di povertà. Come contrastare il fenomeno dei working poors? Il salario minimo sarebbe uno strumento efficace?
“È esattamente ciò che dicevamo: se si vuole evitare questo fenomeno, è necessario che siano rinnovati e applicati i contratti collettivi nazionali di lavoro firmati dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. A tale scopo, peraltro, noi abbiamo chiesto che sia varata una legge che recepisca l’accordo interconfederale già firmato a suo tempo, in modo da avere chiara la misura della rappresentanza delle singole Organizzazioni sindacali e, conseguentemente, mettere un freno ai contratti pirata che generano il fenomeno dei salari al ribasso. In questo contesto, il salario minimo sarebbe uno strumento utile sia per superare le resistenze di quelle Associazioni datoriali che si rifiutano di firmare i contratti sia per togliere ogni alibi a presunti imprenditori che non rispettano la dignità delle persone e offrono condizioni di lavoro indecorose”.
La comparsa di nuove professioni, inclusa la possibilità di lavorare da remoto esplosa nel periodo pandemico, costituiscono delle sfide che il sindacato oggi è in grado di intercettare?
“Bisogna affrontarle e vincerle queste sfide e non è la prima volta che il Sindacato si trova di fronte a trasformazioni del tessuto socioeconomico che incidono profondamente sul mondo del lavoro. Ai cambiamenti non ci si deve opporre, ma occorre governarli. Noi pensiamo di averla questa attitudine e sono i fatti e i risultati a dimostrarlo. Testimonianze del passato sono, ad esempio, l’accordo sulla scala mobile, che frenò la drammatica deriva inflazionistica, o quello sulla concertazione, che creò le condizioni per l’accesso nell’Europa dell’euro. Durante la recente pandemia, poi, grazie agli accordi sottoscritti dal Sindacato è stato possibile dare continuità, con responsabilità ed equilibrio, alle attività produttive, introducendo e regolamentando il lavoro da remoto. Per quel che riguarda, infine, l’avvento delle nuove professioni, stiamo ponendo con forza la necessità di introdurre una giusta e innovativa regolamentazione contrattuale di questi nuovi profili, che non possono essere lasciati, da soli, in balia del cosiddetto mercato, degli algoritmi o dell’intelligenza artificiale. Per intercettare le nuove figure e offrire loro un sostegno organizzato, la Uil, ad esempio, ha dato anche vita a una Piattaforma digitale, Terzo Millennio, che si prefigge esattamente questo obiettivo: essere punto di riferimento per creare aggregazioni indispensabili a dare forza alle nuove rivendicazioni. È evidente che tale impegno, da solo, non basta: è soprattutto la politica che deve assumere comportamenti e decisioni in grado di limitare lo strapotere dei ‘nuovi padroni’. Questa è la nostra nuova battaglia a difesa dei giovani precari, dei ‘nuovi sfruttati’, dei ‘nuovi poveri’: abbiamo intrapreso questa strada e non intendiamo fermarci per ottenere nuove tutele e nuovi diritti.”
Cosa intende fare invece la Uil per la crisi dell’automotive in Italia: una industria che ha fatto la forza della nostra economia che rischiamo di perdere per sempre, a vantaggio di altri paesi europei? Questione su cui il governo ha annunciato provvedimenti di sostegno, voi come li valutate?
“Noi pensiamo che, oggi, il sostegno non debba essere dato solo all’acquisto, ma soprattutto alla produzione fatta nel nostro Paese, ovviamente nel rispetto delle regole europee. Altrove, come in Francia e in Germania, questo già accade. Noi, invece, tardiamo ad adottare misure strutturali che siano in grado di preservare il nostro patrimonio produttivo e occupazionale, a cominciare proprio da quello del settore dell’automotive. Il punto è che noi non abbiamo approntato politiche industriali adeguate a dare una prospettiva alla produzione e all’occupazione, perché non abbiamo ancora deciso che cosa debba essere considerato strategico per il nostro Paese. Se non facciamo questo passo, continueremo solo in una sterile navigazione a vista che ci potrà, forse, far sopravvivere, ma non vivere in una visione di crescita e sviluppo”.
Maurizio Landini, leader della Cgil, ritiene che la Cisl abbia avuto un “colpo di fulmine” per il governo. Lei è d’accordo?
“Con la Cgil e la Cisl abbiamo una storia feconda di battaglie e di conquiste che ci accomuna da tantissimi decenni e che ci ha portato a un’unità d’azione estremamente positiva per le lavoratrici, i lavoratori, le pensionate, i pensionati, i giovani, il Paese. Noi vorremmo continuare su questa strada, pur nel rispetto delle diverse sensibilità e delle differenti specificità che ci sono sempre state. Constatiamo che, in questo momento, le nostre strade divergono e che i giudizi su molti provvedimenti sono differenti. Confidiamo nel fatto che si possa riprendere un discorso unitario, magari a partire dalle manifestazioni per il prossimo Primo Maggio”.
Sempre Landini lancia la proposta di un referendum per abrogare la precarietà. Lo sosterrete? Ma è davvero possibile abrogare la precarietà con un referendum?
“L’ho detto e lo ribadisco: quella contro la precarietà è una nostra battaglia prioritaria. Proprio di recente, abbiamo messo in campo una campagna denominata ‘No ai lavoratori fantasma’. Tali, infatti, sono i precari, che la società non vede o non vuole vedere e che proprio per questa loro condizione sono privati da tanti diritti fondamentali e necessari alla costruzione di una vita dignitosa e con una prospettiva. Non crediamo, però, che il referendum possa essere uno strumento utile a contrastare la precarietà. In passato, gli esiti referendari sono stati spesso molto deludenti e non vorremmo che una scarsa partecipazione e quindi un risultato negativo possano finire con il depotenziare un impegno che crediamo debba essere sostenuto più proficuamente su altri fronti”.