di Alessandro Barcella
“Ore 16.37: una deflagrazione spaventosa squarcia l’aria. Il boato è tremendo, lo spostamento d’aria mi manda lungo disteso fino alla porta d’ingresso della saletta dell’ammezzato che dà sul corridoio opposto a quello della Direzione. Avverto solo che d’improvviso è tutto buio. Dopo il boato c’è un silenzio tombale”. Così nel suo libro “Piazza Fontana, Nessuno è Stato” Fortunato Zinni, testimone diretto dell’attentato, racconta la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana. Dodici dicembre 1969, un ordigno ad elevata potenza viene collocato all’interno della filiale centrale dell’istituto, uccidendo 17 persone e ferendone altre 88. Zinni, giovane addetto all’ufficio titoli, si trovava in quell’esatto momento al primo piano dell’edificio. “Mi rialzo a fatica, tutto dolorante. Inconsciamente, come del resto tutti gli altri colleghi, imbocco la breve rampa di scale – prosegue il suo racconto – diretto verso il pian terreno. Molti corrono verso l’uscita e tanti sono feriti. Passando vicino al bancone del portiere istintivamente alzo la cornetta del telefono che squilla all’impazzata. È la Questura che chiede spiegazioni: è scattato il segnale di allarme.”
L’ennesimo “schiaffo” alla verità
Momenti tragici e che continuano ad indignare, in relazione a responsabilità che dopo quasi 44 anni ancora tardano ad avere nomi e cognomi certi. Un’indignazione che si ripete in queste ore, dopo che il Gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo ha deciso di archiviare anche l’ultimo dei filoni d’inchiesta di quella strage. “Una generale insoddisfazione sia sul piano giuridico che su quello sociale”. Così nelle motivazioni il Gip descrive la situazione processuale, pur spiegando che ciò “non costituisce una ragione sufficiente perché si possa ipotizzare di protrarre all’infinito indagini prive di fondamento, specie se nei confronti di persone decedute o già giudicate”. Un rilancio d’inchiesta sorto anche a seguito della pubblicazione del libro del giornalista Paolo Cucchiarelli, che aveva parlato di una doppia bomba piazzata da due diversi attentatori. La rabbia di Zinni, che ha assunto su di sé la missione di raccontare nelle scuole quegli anni terribili, si fa ancora più forte: “Un’altra pesante pietra tombale cala sulla ricerca della verità giudiziaria di quella strage – spiega -. Una mazzata che si aggiunge alla mancata rimozione del segreto politico militare, grazie alla connivenza del Parlamento e di tutte le forze politiche. Lo Stato non ha saputo, potuto, voluto fare giustizia in casi di estrema gravità come quelli delle stragi appunto, “di Stato”.
Le motivazioni
La pubblicazione delle motivazioni di questa archiviazione che accoglie le richieste della procura di Milano conferma e certifica il fallimento della giustizia”. Piazza Fontana fu in un certo senso inizio e spartiacque per la famigerata “strategia della tensione”. “Quel pomeriggio scoppiarono altre tre bombe a Roma – prosegue Zinni -. Due all’Altare della Patria e l’ultima nel sottopassaggio della banca nazionale del lavoro di via San Basilio, con 14 feriti. Iniziò per l’Italia una sorta di oscura, lenta, ma comunque micidiale vicenda che ha segnato la vita politica del Paese. Come si tende a fare spesso coi brutti ricordi, si parla poco di quei fatti che ebbero anche l’effetto di mutare l’ottimismo di molti giovani di allora in sfiducia verso le istituzioni. Sono stati celebrati numerosi processi con depistaggi, fughe all’estero di imputati, latitanze decennali, condanne e assoluzioni. Nessuno è stato dunque, come scrivo nel mio libro: solo vittime e nessun colpevole. Ma Non intendo demordere – conclude Fortunato Zinni – e continuerò ad andare nelle scuole e raccontare la mia verità, trasmettendo la sete di giustizia per quelle 17 vittime innocenti”. Infine una stoccata decisa a Palazzo di Giustizia di Milano: “Credo sia lecito chiedersi per quali ragioni i magistrati milanesi continuino ad esprimere parere negativo ad ogni richiesta di riapertura delle indagini su quel massacro”.