Sarà anche la Regione economicamente più florida d’Italia, sarà anche quella che meglio di tutte le altre è riuscita a contrastare il Covid-19 mitigando il contagio. Ma in fatto di diritti civili sembrerebbe che ci sia ancora tanta strada da fare in Veneto. Proprio in questi giorni la Regione guidata oggi da Luca Zaia è stata condannata dal Tribunale di Venezia per “il carattere discriminatorio del mancato riconoscimento a favore dei cittadini stranieri minori di età irregolarmente soggiornanti, sia comunitari che extracomunitari, di un servizio ambulatoriale pediatrico pubblico”.
Tutto nasce da un ricorso presentato dall’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), sempre attenta a segnalare e affrontare tematiche di questo tipo. “Secondo le attuali direttive inserite anche nelle linee guida regionali – spiega l’associazione – i minori stranieri non regolarmente soggiornanti possono accedere alle prestazioni sanitarie unicamente tramite il Pronto Soccorso, senza poter fruire della disponibilità di un pediatra”. Un’evidente discriminazione, secondo l’Asgi, avvalorata peraltro da un report di Emergency sulle attività del suo Ambulatorio Pediatrico in cui si conferma il deficit assistenziale quale circostanza storica. Da qui la decisione di rivolgersi al Tribunale del Lavoro di Venezia che proprio in questi giorni si è pronunciato.
LA SENTENZA. E la decisione cui si è giunti non ammette repliche. Nelle pagine della sentenza, d’altronde, si ricorda come sia stata la stessa difesa della Regione Veneto a riconoscere “che effettivamente all’interno del Consultorio della Ulss 3 non esiste un servizio stabile (ufficio apposito) di pediatria di base per i soggetti in questione”. Non solo. Il Tribunale ha verificato anche che “è certo che il possesso della tessera STP per gli extracomunitari (Stranieri Temporaneamente Presenti) e della tessera Eni per i comunitari (Europei Non Iscritti) non consente l’accesso all’intera gamma, e alle stesse condizioni, delle prestazioni sanitarie previste per la generalità della popolazione minorile”.
Queste tessere, infatti, consentono sì l’accesso alle cure indifferibili e urgenti, ma non anche la possibilità di scelta di un medico di famiglia, ovvero, “trattandosi di minori, di un pediatra di libera scelta, abilitato a prescrivere il normale accesso alle prestazioni specialistiche, agli esami di laboratorio”, e così via. Un dettaglio, questo, che confligge con la parità di trattamento di tutti i minori sotto il profilo sanitario, a prescindere da qualsiasi altra condizione, garantita dalla Convenzione di New York del 20 Novembre 1989 sui diritti del fanciullo ed ancora più puntualmente dalla normativa italiani sui livelli essenziali di assistenza sanitaria dove, semmai ce ne fosse bisogno, si sancisce che “i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono iscritti al Servizio sanitario nazionale ed usufruiscono dell’assistenza sanitaria in condizioni di parità con i cittadini italiani”.
LAVORI IN CORSO. Risultato? Il giudice ha accertato il carattere discriminatorio del mancato riconoscimento di un servizio ambulatoriale pediatrico pubblico accessibile gratuitamente equiparabile al pediatra di libera scelta e ha condannato Regione Veneto e ULSS 3 a rimuovere la discriminazione riconoscendo tale servizio anche nelle linee guida regionali. Un’altra grana per il leghista Zaia.