Sono i quotidiani del 13 ottobre del 2022 ma sembra un incubo di 28 anni fa. Nel governo che viene non c’è solo l’estrema destra che si accinge a governare per la prima volta nella sua storia ma c’è sempre lui, Silvio Berlusconi, che punta dritto al ministero della Giustizia per cercare impunità e al ministero dello Sviluppo economico per sistemare le sue televisioni.
Berlusconi torna a dettare legge su Giustizia e televisioni. Smontare la Severino e tutelare le aziende. Da 28 anni il Cav punta ai soliti obiettivi
Non ci vuole troppa fantasia per capire che il ministero della Giustizia per Silvio Berlusconi significa avere un fidato alleato in via Arenula per i processi che ha ancora in corso (nonostante, l’avete notato?, non se ne parli più) per cancellare l’odiosa legge Severino che fece decadere il leader di Forza Italia nel 2013 per il processo Mediaset. Quella legge incombe ancora. Dovrebbe arrivare a inizio del 2023 la sentenza sul processo Ruby ter in cui Berlusconi è imputato con l’accusa di avere pagato le ragazze delle sue cene “eleganti” affinché testimoniassero il falso.
Il leader di Forza Italia rischia una pena fino a sei anni ed è molto probabile che entro la fine della legislatura si arrivi in Cassazione poiché entro il 2026 il processo dovrebbe terminare. In caso di condanna Berlusconi decadrebbe per la seconda volta, esponendo sé stesso – e l’Italia, ma questo per lui non è mai stato un problema – all’ennesima figuraccia internazionale.
Ecco perché Forza Italia vorrebbe che Francesco Paolo Sisto o Maria Elisabetta Alberti Casellati occupassero quella poltrona: il primo, sottosegretario uscente proprio alla Giustizia, è avvocato fedele all’ex Cavaliere (a Villa Romanazzi Carducci durante la convention del centrodestra lo scorso settembre si è messo al pianoforte per dedicare una canzone al suo capo partito) mentre la ormai ex presidente del Senato Casellati fu colei che l’11 aprile 2011 difese la versione di Silvio Berlusconi su Ruby “Rubacuori” spiegandoci, ospite a Otto e mezzo, che Berlusconi ritenesse la ragazza nipote di Hosni Mubarak, data la telefonata ricevuta dal presidente egiziano, e che le avrebbe dato del denaro solo “per permetterle di lavorare e quindi di non prostituirsi”. Questo è il livello.
Per le televisioni il discorso è lo stesso. Sui giornali Berlusconi ripete, come fa dal 1994, che Mediaset è stata soltanto penalizzata dal suo ingresso in politica ma i numeri raccontano un’altra realtà: nel quinquennio del secondo e terzo governo Berlusconi i ricavi pubblicitari lordi di Mediaset passarono da 2.467 a 2.955 milioni, con un aumento del 19,8%; quelli della Rai scesero invece da 1.273 a 1.217, meno 4%. Considerando l’intero periodo 2001-2011, durante il quale Berlusconi ha governato per circa nove anni, La Rai ha avuto una flessione del 30,5%, contro una limatura del 3,8% subita dal concorrente privato nonostante la crisi devastante.
Non si tratta solo di soldi, oggi la crisi dell’editoria ha portato la pubblicità (sempre più concentrata) a dettare l’agenda editoriale più delle notizie. Oltre all’arricchimento personale Berlusconi ottiene, oggi ancor di più con la crisi, un’agibilità d’informazione che inevitabilmente condiziona e inquina il dibattito politico.
Ma tutto questo non è soltanto merito suo. Se siamo ancora in un incubo lungo 28 anni i demeriti dei suoi avversari (tutti, dalla sinistra ai 5 Stelle) sono evidenti. Una seria legge sul conflitto di interessi in questo Paese torna a galla nelle promesse a intervalli regolari, ma poi non si trova mai il tempo (e la voglia) di farla davvero. A marzo 2008 D’Alema disse: “Una legge andrà fatta, ma le priorità sono altre come il lavoro e la sicurezza”. A fine 2022 il lavoro e la sicurezza sono ancora un problema, non c’è la legge e Silvio è tornato.