No convinto e perentorio all’ipotesi di un Conte ter, unità del centrodestra in tutte le sue componenti – anche quelle minori – come priorità assoluta e al Colle con una delegazione unitaria. questo, in sintesi l’esito dell’ennesimo vertice per serrare i ranghi tra Forza Italia, Lega e FdI – durato poco più di un’ora – a cui ieri hanno partecipato Silvio Berlusconi (in videoconferenza) e in presenza Antonio Tajani, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Maurizio Lupi e Giovanni Toti.
All’incontro era presente anche Antonio De Poli, questore anziano del Senato ed esponente Udc. Non è un segreto che nella trattativa per allargare la maggioranza portata avanti senza sosta dai pontieri e dallo stesso premier (dimissionario) Giuseppe Conte, si guardi ancora dalle parti del partito centrista (e al suo simbolo) . Oltre alla senatrice Paola Binetti, che “sta giocando la sua partita”, si confida in anche nel senatore Antonio Saccone che, ci assicura, “non sarà fra i responsabili”.
Attenzionati speciali anche i tre di Cambiamo! Gaetano Quagliariello, Paolo Romani e Massimo Berutti. Ma al momento, come riportato nella nota congiunta diramata alla fine dell’incontro, almeno alle consultazioni andranno tutti uniti. “Nel corso del vertice il centrodestra ha ribadito la necessità che l’Italia abbia in tempi rapidi un governo con una base parlamentare solida, una forte legittimazione e non, invece, un esecutivo con una maggioranza raccogliticcia.
La coalizione – si legge – è pronta a sostenere in Parlamento tutti i provvedimenti a favore degli italiani, a partire dai ristori e dalla proroga del blocco delle cartelle esattoriali. Ferme restando le posizioni già espresse al presidente della Repubblica nel corso dell’ultimo incontro, il centrodestra si affida alla sua saggezza”, è la conclusione.
Nessun accenno alle urne, dunque, anche se in una diretta Facebook subito dopo la fine del vertice la Meloni ribadisce che “L’unica possibilità di avere un governo solido è attraverso il voto. Per questo noi continueremo a batterci”, e specifica che nelle consultazioni verrà ridabito che non c’è possibilità che il centrodestra decida di appoggiare il premier dimissionario Conte”. Netto anche l’ultimatum di Salvini: “Invitiamo il governo a portare i provvedimenti urgenti e poi restituiamo la parola agli italiani”.
In ogni caso, la decisione di salire al Colle compatti coglie di sorpresa diversi parlamentari forzisti, convinti che stavolta le delegazioni avrebbero espresso le proprie istanze in modo autonomo. Anche perché, l’ultima volta che la coalizione si è presentata unita, nel 2018, sappiamo come andata: al di là dei proclami di di facciata, Salvini ha formato un governo coi 5Stelle. E, soprattutto, perché evocare le urne come unica soluzione senza dare prova di responsabilità e senso dello Stato – è il ragionamento condiviso più volte sia dal numero due del Carroccio Giancarlo Giorgetti che da una parte consistente di FI – porterebbe la coalizione ad un basso livello di credibilità, soprattutto in Europa.
A sottolinearlo esplicitamente è stato ieri il deputato azzurro Osvaldo Napoli: “Capisco che l’arte della politica impone a volte di mettere insieme pere e mele, ma è sempre bene sapere dove sono le mele e dove le pere. FI ha detto fin dal primo momento che dalla crisi si esce o con un governo di unità nazionale oppure, in subordine, si deve restituire la parola ai cittadini. Salvini e Meloni, hanno scelto un’altra strada: dalla crisi si esce soltanto andando alle urne. FI potrebbe oggi sostenere un governo, senza più Conte a palazzo Chigi, senza che qualcuno la accusasse di rompere il centrodestra? Mi sembra una domanda legittima alla quale il partito deve rispondere senza timidezze verso gli alleati”.
Del resto non è un mistero che Berlusconi sia da tempo favorevole ad un governo di unità nazionale e sta valutando in queste ore una sua partecipazione diretta alle consultazioni al Quirinale dove il centrodestra dovrebbe recarsi venerdì. L’ex premier non ha ancora deciso, ma sul resto le idee sono chiare: “Ho fatto appello ad un’unità sostanziale del Paese, da realizzare se possibile in questo Parlamento o, se non è possibile, chiamando gli italiani alle urne”. Il voto, dunque, per il Cav è la seconda opzione, non la prima.