Passano le settimane ma non accennano a diminuire le tensioni che agitano, per non dire sconquassano, Forza Italia. Del resto che tra gli azzurri ci sia maretta, è cosa nota tanto che proprio all’indomani della fine dell’Esecutivo di Mario Draghi c’erano state diverse defezioni tra cui quelle di tre big ossia Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta.
La faida dentro Forza Italia tra falchi e governisti è un avviso alla Meloni. Se sarà scissione a destra si rischia la paralisi al Senato
E nel partito non è tornato il sereno neanche dopo l’ottimo risultato uscito dalle urne perché qualcosa, durante i colloqui per la formazione della nuova squadra di Governo, deve essere andato storto. Ma se fino ad ora tutti gli azzurri hanno negato qualsivoglia fibrillazione interna al partito, da ieri le cose sono cambiate a seguito dell’intervista a Repubblica di Giorgio Mulè in cui ha sollevato il caso del doppio incarico di Antonio Tajani e di Anna Maria Bernini che sono diventati ministri ma che mantengono tutt’ora ruoli di spicco in Forza Italia.
“Una giusta riflessione l’ha avviata Paolo Zangrillo, ponendosi il problema della compatibilità fra il ruolo di ministro e quello di coordinatore in Piemonte. Credo che analogo ragionamento non potrà che fare Tajani, che al ruolo di coordinatore nazionale somma quelli di ministro, vicepremier e probabilmente di capodelegazione di Forza Italia. E lo stesso vale per la neo-ministra Bernini, che è vicecoordinatrice del partito” spiega Mulè.
Insomma il ragionamento è che i due devono prendere atto della situazione e farsi da parte spogilandosi degli incarichi interni al partito. Del resto, insiste il vicepresidente della Camera, qualcosa andrà fatto perché “ci sono interventi sulla spina dorsale del partito ormai indefettibili. Berlusconi è il primo a saperlo” e se Tajani e Bernini non agiranno da soli, allora non si può escludere un intervento diretto del Cavaliere che “ci ha portato all’8 per cento, lui ci ha fatto andare al governo. E lui indicherà la nuova formula di Forza Italia”.
Poi parlando della squadra di Governo ha assicurato che “non ci sentiamo sfregiati né umiliati. Ma ha provocato disappunto l’atteggiamento di Giorgia Meloni. Un disappunto esternato dallo stesso Berlusconi, quando ha posto la questione del condizionale e non dell’imperativo da usare nel dialogo fra alleati”.
Com’è inevitabile che sia queste parole hanno sollevato un polverone portando alla luce tensioni che per settimane gli azzurri hanno smentito, bollandole come “invenzioni giornalistiche”. Proprio per questo, sulla sua pagina social, Mulè ha voluto chiarire che nell’intervista “il titolista ha attribuito a me un suo pensiero mettendolo tra virgolette.
Il lettore infatti non troverà nel testo, fedele alle mie parole, di essere ‘deluso’ da Giorgia Meloni né che Antonio Tajani ‘deve dimettersi’. In quest’ultimo caso sarei incorso nell’uso dell’imperativo che è modo da non coniugare in politica. E adesso…buona lettura!”. In altre parole si tratterebbe di una forzatura o al massimo di questioni di semantica.
Peccato che a pensarla diversamente sia l’ex forzista Osvaldo Napoli, oggi parte integrante della segreteria nazionale di Azione, che conosce bene le dinamiche interne agli azzurri e ieri ha fatto notare come: “Una smentita, diceva Mario Missiroli, grande direttore di giornali, è una notizia data due volte. E smentire, come fa Mulè, che Forza Italia sia sull’orlo della scissione non fa quasi più notizia tanto evidenti sono le divisioni al vetriolo emerse nella fase di formazione del Governo”.
Tensioni che per l’ex forzista saranno la “vera incognita sul cammino appena avviato da Giorgia Meloni”. In che modo e perché questa faida interna avrà ripercussioni sull’Esecutivo lo spiega lo stesso Napoli secondo cui “le divisioni fra l’ala governista, guidata da Antonio Tajani, e la componente che più recalcitra verso il nuovo equilibrio politico, che fa riferimento ai due capigruppo Ronzulli e Cattaneo saranno misurate la prima volta nel voto di fiducia al Senato, vero banco di prova”.
Alla luce di quanto detto dal vicepresidente della Camera – probailmente su input di Berlusconi – è chiaro che, malgrado le continue smentite, è scontro aperto in Forza Italia tra governisti e ronzulliani. Una battaglia sotto traccia, con i secondi che accusano Tajani & Co di non aver tutelato il partito come avrebbero dovuto e che – secondo quanto si apprende da fonti ben informate – se non rientrerà rapidamente, presto o tardi deflagrerà in una dolorosa scissione.
Ma i margini per far rientrare la crisi, la quale inevitabilmente si ripercuoterà sul Governo a trazione Fratelli d’Italia, sembrano piuttosto esigui tanto che, come fanno trapelare, esisterebbero già due fazioni ben delineate. Quella fedele a Berlusconi e che lo seguirà a prescindere da quali scelte metterà in campo già nei prossimi mesi, è capitanata da Licia Ronzulli e tra chi ne farebbe parte ci sarebbero Maria Elisabetta Alberti Casellati, Alberto Barachini, Dario Damiani, Roberto Rosso, Maurizio Gasparri e Paolo Zangrillo.
L’altra è quella dei governisti, una sorta di riedizione dei “responsabili” di draghiana memoria, che nel caso la situazione dovesse precipitare non esiterebbe a schierarsi al fianco dell’attuale Governo. Una corrente di cui farebbero parte Tajani, il quale ha già preso le distanze dalle parole di Berlusconi in politica estera, la Bernini, Alessandro Battilocchio e Paolo Barelli. Chiaramente uno smembramento di Forza Italia, con l’ala ronzulliana che potrebbe decidere lo strappo, finirebbe per condizionare pesantemente l’azione dell’attuale Esecutivo.
Già perché se alla Camera i numeri sono blindati, al Senato eventuali defezioni rischiano di costare caro. Questo perché a Palazzo Madama, tolti i 9 senatori che sono stati scelti per fare parte della squadra di Governo e Ignazio La Russa che in qualità di presidente del Senato non vota, Meloni & Co possono contare su 106 voti a fronte di una maggioranza assoluta che è pari a 104. Il problema per la premier è che Fi risulta determinante avendo ben 18 senatori e quindi un’eventuale scissione può letteralmente paralizzare l’Esecutivo.