di Lapo Mazzei
Il copione è stato rispettato. La Corte costituzionale ha respinto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato sul mancato riconoscimento del legittimo impedimento da parte dell’ex premier Silvio Berlusconi. In una nota emessa dai magistrati si spiega che «in relazione al giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato vertente fra il presidente del Consiglio dei ministri e il Tribunale ordinario penale di Milano, ha deciso che, in base al principio di leale collaborazione, e fermo rimanendo che il giudice, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, non può invadere la sfera di competenza riservata al governo, spettava all’autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all’udienza penale del 1° marzo 2010 l’impegno dell’imputato presidente del Consiglio dei ministri di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno, giorno che egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all’udienza». A questa decisione, prosegue la nota dei magistrati togati, «la Corte è giunta osservando che, dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall’imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), né circa la necessaria concomitanza e la “non rinviabilità” dell’impegno, né circa una data alternativa per definire un nuovo calendario ». Insomma, Silvio Berlusconi avrebbe usato i poteri del presidente del Consiglio per andare contro un potere dello Stato. E ora la parola passa alla Corte di Cassazione. Il processo Mediaset, tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, vedrà celebrato il terzo grado di giudizio nei confronti di Silvio Berlusconi, condannato in primo grado e in appello a 4 anni di reclusione (tre coperti dall’indulto) e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per il reato di frode fiscale in relazione alla compravendita di diritti tv. Il ricorso in Cassazione contro la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’appello di Milano l’8 maggio scorso nei confronti del leader del Pdl è già stato presentato. Per il processo davanti agli alti giudici entrerà nel collegio difensivo il professor Franco Coppi. La prescrizione del reato contestato a BerluscoBerlusconi dovrebbe scattare tra la primavera e l’estate del 2014. La partita politica Sin qui il quadro tecnico.
Ma è chiaro a tutti che la vera partita si gioca sul piano politico. «Se non è legittimo impedimento la presenza a un Consiglio dei ministri di una figura determinante come il primo ministro, che cosa lo è?», si chiede a caldo Laura Ravetto, responsabile nazionale propaganda del Popolo della Libertà in merito alla decisione della Consulta. Uno sconcerto che ritrovi in tutti gli esponenti del Pdl, rimasti gelati dalla decisione della Consulta. In particolare i ministri del Pdl (Angelino Alfano, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliarello) hanno emesso una nota congiunta pochi istanti dopo essere usciti dalla riunione del Consiglio dei ministri: «È una decisione incredibile. Siamo allibiti, amareggiati e profondamente preoccupati. Ci rechiamo immediatamente dal presidente Berlusconi. La decisione travolge ogni principio di leale collaborazione e sancisce la subalternità della politica all’ordine giudiziario ». Se non è l’inizio del ribaltamento del tavolo del governo, di sicuro dimostra che le mani sono pronte ad agire.
Manca solo l’input del cervello. Sostegno al governo E lo stesso Cavaliere prova a tracciare il solco entro il quale dovrà muoversi il partito. «Continua un accanimento giudiziario nei miei confronti che non ha eguali nella storia di tutti i Paesi democratici», afferma l’ex premier in una nota meditata a lungo con lo staff di palazzo Grazioli. Lapidaria certo, ma sufficientemente chiara per capire che d’ora in poi nulla sarà più come prima, anche se lo stesso leader del Pdl prova a stemperare le tensioni attorno al destino del governo. «Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura ormai da vent’anni, e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un Italia più giusta e più libera. Perciò anche l’odierna decisione della Consulta – aggiunge – che va contro il buon senso e tutta la precedente giurisprudenza della Corte stessa, non avrà alcuna influenza sul mio impegno personale, leale e convinto, a sostegno del governo né su quello del Popolo della Libertà». Niente elezioni anticipate dunque. Almeno per ora. Anche perché i falchi del Pdl, a partire da Daniela Santanché, vorrebbero l’esatto contrario. Costi quel che costi.