di Mimmo Mastrangelo
La casa-negozio di un basso nel centro storico di Napoli dove due signori ben vestiti stanno seduti a chiacchierare e guardano dritto nell’occhio della macchina… Mani (di donna) si aggrappano al bordo di una barca mentre il resto del corpo nascosto è ancora immerso nelle acque del mare di Catania…Una coppia è sorpresa dallo scatto del fotografo a baciarsi sotto il porticato di Piazza San Marco a Venezia… Ancora Venezia: un venditore ambulante di bolle di sapone se ne va vendendo tra la gente la sua mercanzia… Sono velocissime istantanee (autentiche, non riprodotte e corrette al computer) della retrospettiva ospitata nei giorni scorsi alla Casa dei Tre Oci di Venezia e dedicata ad uno dei protagonisti della fotografia italiana negli ultimi sessant’anni, Gianni Berengo Gardin. Come dal titolo della mostra (“Storie di un fotografo”) nei centotrenta scatti del maestro nato a Santa Margherita Ligure nel 1930 – ma vive a Milano dalla metà degli anni sessanta – sono racchiuse in prevalenza narrazioni del Belpaese, scene e situazioni della vita sociale italiana rigorosamente immortalate sotto la luce del bianco e nero. Divisa in otto sezioni tematiche (Venezia, baci, dentro case, zingari, morire di classe, lavoro, figure ambientate, religiosità), la mostra focalizza uno stile, una scelta visiva-ideale che insegue, corre perennemente verso la figura umana. È una fotografia del sociale quella di Berengo Gardin, del ricercare e rintracciare l’uomo nei suoi più disparati contesti, ambienti e situazioni. Non per caso, più volte gli scatti di Gardin sono stati accostati, per la sincera (ed umanistica) rappresentazione a quelli dei grandi francesi Doisneau, Cartier Bresson, Boubat. E, tuttavia, non si può non tener conto come essi costituiscano una felice documentazione di quel fotogiornalismo italiano che per etica ed “inclinazione artistica è riuscito a conquistarsi una credibilità nel Mondo. Ma attenzione: per scoprire l’autenticità della visione di Berengo Gardin – già inserito nel 1972 dalla prestigiosa rivista “Modern photography” tra i 32 miglior fotografi del Mondo e riconosciuto da Italo Zannier nel nostro “fotografo più ragguardevole del dopoguerra” – bisogna scovare in ogni foto quello che Roland Barthes chiamava il “punctum”, cioè quel dettaglio, quel piccolo particolare che sta a margine di un negativo e che colpisce tempestivamente l’attenzione dello spettatore.