Parla. O meglio, suggerisce. La natura, sottoforma di fenomeni che accadono con maggiore o minore ripetitività nel mondo esterno, ci sollecita, ci obbliga a deviazioni e resistenze, a inventarci artifici e collegamenti creativi, a stabilire nessi, a costruire degli insiemi, a migliorare il nostro domicilio in mezzo a essi. Così ci difendiamo dal troppo calore e dal troppo freddo, così escogitiamo utensili e materiali, così, a maggior ragione, abbiamo potenziato macchine e mezzi tecnici che ci hanno garantito vita durevole e immunità da tanti problemi. Ma cosa succede quando la dimensione “protocollare” di questo rapporto, cioè quella più direttamente strumentale ed emancipativa, prende il sopravvento sull’interfaccia primaria, l’utente numero uno, cioè l’uomo, fino al punto da uscire dalla geografia spaziale (come avviene per il Web e i bytes), imponendo spesso le sue memorie, le sue metriche, una autonomia quasi piena dalla volontà e dal controllo del suo fruitore?
Succede – ci dice il filosofo Luciano Floridi in questo suo mirabile saggio diventato ormai un must di settore a pochi mesi dalla sua uscita, La quarta rivoluzione (Raffaello Cortina, pagg. 279, euro 20,40) – che “le ICT (Information and Communication Technologies, ndr) creano e forgiano la nostra realtà fisica e intellettuale, modificano la nostra autocomprensione, cambiano il modo in cui ci relazioniamo agli altri e con noi stessi, aggiornano la nostra interpretazione del mondo, e fanno tutto ciò in maniera pervasiva, profonda e incessante”. Sono, insomma, la filogenesi del nostro nuovo sentire, una rete incorporea di dispositivi che ingloba pur tuttavia i nostri corpi, i nostri piani di esistenza, le nostre disposizioni: schermi e pixel che possono addirittura sostituirsi alla libertà del giudizio, ai tempi fisiologici di reazione.
“Le ICT possono processare dati in modo autonomo e intelligente, e in tal senso sono responsabili dei propri comportamenti. Una volta che tale caratteristica sia completamente sfruttata, l’utente umano può diventare ridondante”. Ridondante uguale inutile, pletorico, ridotto a ruolo di comparsa, di mero esecutore di logiche velocissime quanto aliene: una reticolare globalizzata media-bolla che supera la vecchia scissione dell’on e dell’off life per impiantare, segnala Floridi, l’on life: integrazione di cervello e terminali, sguardi e schermi, madri e matrix potremmo finanche dire con allegoria genealogica. Paura di un mondo robotizzato? “Le ICT non stanno diventando più intelligenti, rendendoci al contempo più stupidi. è il mondo invece che sta diventando un’infosfera sempre di più adattata alle limitate capacità delle ICT”. Dunque, a noi, solo a noi e alla cara vecchia amata e intramontabile politica, il dovere morale di non associare antropologia e oblio.