I Comuni non hanno i soldi per riutilizzare i beni confiscati? Si ingegnino, li chiedano all’Europa, alle loro Regioni e non disturbino il governo. In estrema sintesi è questa la risposta che il ministro per Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani (che ha sostituito il ministro dell’Interno Piantedosi impegnato in Emilia Romagna) ha dato alla deputata Daniela Ruffino (Azione-Italia Viva-Renew Europe).
L’assurda risposta del ministro Ciriani a un’interrogazione sui beni confiscati alle mafie. I sindaci invitati a elemosinare fondi col portale di supporto
Ruffino aveva chiesto al Viminale cosa intendesse fare per i molti immobili che rimangono parcheggiati a causa della mancanza di fondi da parte dei Comuni che dovrebbero restituirli alla collettività. Nei giorni scorsi anche la Corte dei conti aveva sottolineato come gli ostacoli maggiori nel destinare a nuovo uso i beni sequestrati alle mafie sono legati, oltreché alla lunghezza dei procedimenti, alla ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del terzo settore, che rende difficoltoso l’avvio dei progetti di reimpiego sociale delle strutture sottratte alle organizzazioni criminali, soprattutto nel caso di immobili in cattivo stato manutentivo o soggetti a spese di gestione.
Nella sua risposta il ministro Ciriani ha seguito il copione del governo adattabile a tutte le carenze. “Uno degli obiettivi fondamentali del governo è il contrasto alla criminalità organizzata”, dice Ciriani (ci mancherebbe altro), che poi spiega “il valore simbolico di un bene confiscato sul territorio” che possa diventare “presidio di legalità”. Dopo la retorica antimafiosa – inutile e stanca – il ministro ha evidenziato l’aumento del 147% dell’attività dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata promettendo almeno cento nuove assunzioni, oltre ai 200 dipendenti attuali, per potenziare l’agenzia.
Ciriani si è anche soffermato sul prossimo bando che assegnerà 260 immobili. Ma i soldi per i Comuni? Qui la risposta del governo diventa un capolavoro di malcelato disinteresse. Per Ciriani i comuni possono “avvalersi di un portale di supporto” creato ad hoc “per la progettazione e la valorizzazione” dei beni confiscati. La domanda rimane. Ma i soldi? “I Comuni si possono rivolgere ai nuclei di supporto nelle Prefetture”, dice Ciriani.
Per i soldi? E no, i “nuclei di supporto” possono indirizzare il malcapitato sindaco con le tasche vuote all’Unione europea o alle Regioni per recuperare qualche spicciolo. Non solo. Per Ciriani “un altro importante canale di finanziamento sono le fondazioni bancarie” dice all’incredula Ruffino, e “risorse addizionali per i comuni sotto i 15mila abitanti possono essere recuperate con progetti di rigenerazione urbana”. Per farla breve: il governo Meloni non ha intenzione di aggiungere un solo centesimo alla bacinella già vuota dei Comuni che si ritrovano edifici confiscati che non riescono nemmeno a mantenere.
Lo schema è semplice: le forze dell’ordine e la magistratura arrestano i mafiosi e confiscano i loro beni, i sindaci si ritrovano ad affrontare la vendetta dei clan e il peso economico di immobili. Il governo, in disparte, si fregia di lottare contro la mafia e rilascia interviste. Ha ragione Ciriani quando dice che il “valore simbolico” dei beni confiscati è la testimonianza della forza dello Stato contro le mafie. Il problema è che in quella fotografia il governo tiene un corso di elemosina agli amministratori locali con un messaggio chiarissimo: il mafioso è un problema di polizia e carabinieri, le sue case sono un problema del sindaco. Da Roma arrivano al massimo per l’inaugurazione.