di Clemente Pistilli
Basta un sospetto di mafia, un’ombra, un’ipotesi di contiguità con le associazioni criminali che inquinano l’economia italiana, e si perde qualsiasi possibilità di ottenere benefici anche a livello fiscale. Per appartenenti e fiancheggiatori dei clan sembra essere scattato un altro 41 bis, quello delle tasse. A confermare la linea seguita dall’Agenzia delle entrate e sostenuta da apposite norme è stata la Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso fatto da un siciliano contro la mancata sanatoria da lui richiesta dopo aver ricevuto un avviso di accertamento. Il ricorrente, un palermitano, sottoposto in passato alla misura di prevenzione prevista dalla legge antimafia del 1965, si era visto recapitare dal Fisco un avviso di pagamento per un terreno a Palermo. Il siciliano aveva alienato quell’area soggetta ad enfiteusi, l’antico istituto che prevede diritto di godimento su un bene altrui, ma per l’Agenzia delle entrate il valore di quell’immobile era maggiore e il palermitano doveva pagare la differenza. Proprio per quella misura di prevenzione l’istanza di condono fatta dal siciliano venne però cestinata e inutili sono stati i ricorsi fatti dal contribuente alla commissione tributaria provinciale e regionale del capoluogo di provincia dell’isola.
Alla fine il palermitano ha fatto ricorso alla Suprema Corte, impugnando la sentenza a lui sfavorevole e sostenendo che quel condono negato era un’ingiustizia, era incostituzionale, considerando anche che quando lo aveva chiesto lui aveva ormai scontato la misura di prevenzione e non c’erano ragioni per dover pagare ancora. Voleva pagare meno e subito. Niente da fare. Il ricorrente deve pagare tutto all’Agenzia di Attilio Befera e senza sconti.
Per gli ermellini la sanatoria sarebbe stata possibile soltanto se il ricorrente avesse anche provato di aver ottenuto la riabilitazione. Un compito che spettava al contribuente, che avrebbe dovuto specificarlo al momento del primo ricorso, e non all’amministrazione finanziaria Con un sospetto di mafia sul capo niente aiuti. Carcere duro e Fisco inflessibile. Per la sezione tributaria della Corte di Cassazione “la legge 575 del 1965 contempla uno status ostativo, al pari di quelli ulteriori in essa enumerati, alla fruizione del beneficio fiscale”. Dopo essersi visto rigettare il ricorso presentato contro il Ministero dell’economia e finanze e l’Agenzia delle entrate, il ricorrente è stato inoltre condannato anche ad altre spese: cinquemila euro di spese di giudizio. Meglio di così al ministro Fabrizio Saccomanni e al direttore Attilio Befera decisamente non poteva proprio andare.