“Mi auguro che il Movimento non rinunci a nessuno. Però una cosa deve essere chiara: prima delle persone vengono i nostri ideali”. A tracciare la strada maestra in uno dei peggiori momenti vissuti dal M5S, ci prova Dino Giarrusso, eurodeputato e voce di peso tra i pentastellati. “Ben venga una discussione, accesa se necessario – continua – ma se costruttiva”.
E finora pare che non sia avvenuto. Perché secondo lei si è arrivati qui?
C’è un malcontento diffuso nel Movimento che cova da tempo, da prima degli Stati generali. E le dico di più: riguarda non solo i parlamentari, ma anche gli attivisti.
Dovuto a cosa?
A una serie di problemi irrisolti. Il “peccato” è stato mettere la polvere sotto il tappeto piuttosto che affrontare le questioni. Ecco perché credo che questa crisi può essere addirittura salvifica.
Ma di quali questioni parliamo?
Di promesse fatte e mai mantenute. E questo ha infastidito la nostra comunità. Le faccio un esempio: dopo gli Stati generali noi avremmo dovuto nominare un organo collegiale di 5 membri, cosa mai fatta. Non è stata una bella mossa, sarebbe stato meglio che poi quei 5 avessero trovato il modo di eleggere Giuseppe Conte in un ruolo di guida, come tutti volevamo. Negli anni abbiamo pian piano perso il rapporto di rispetto con i nostri attivisti a causa dell’assenza sui territori di alcuni eletti e di scelte poco comprensibili. A novembre 2020, il Movimento mette nero su bianco che una volta creata la nuova guida avrebbe pubblicato i risultati delle votazioni relative agli Stati Generali, ma quei numeri non sono mai stati resi pubblici, perché? Abbiamo forse paura della nostra stessa comunità? Abbiamo timore della democrazia diretta, delle scelte dei nostri iscritti, della verità? Molti iscritti non hanno digerito questa scelta omertosa e incomprensibile, anzi un appello a Conte, che è certamente un galantuomo: pubblichi quei dati, senza attendere nemmeno un giorno di più.
Tutte questioni irrisolte che però hanno trovato un detonatore nello scontro tra Conte e Di Maio…
Scontro che comunque lo si guardi non ci fa bene. Io auspico una pacificazione, anche perché ne va del futuro del Movimento. La cosa più sbagliata sarebbe dividerci in fazioni, diventare tifosi di uno o dell’altro. Il Movimento può fare ancora molto per l’Italia, ma solo se resta unito. È anche una questione di rispetto nei confronti degli 11 milioni di italiani che ci hanno votato nel 2018.
Crede che tra le questioni ci sia anche la vicenda del doppio mandato?
Certamente anche quello è un tema importante, uno dei nostri capisaldi, una delle ragioni che hanno spinto in tanti a votarci: no ai politici di professione.
Sembra che il Movimento non sia più quello di un tempo.
Guardi, la realtà è secca e brutale nella sua semplicità: il Movimento pensato da Grillo e Casaleggio era una vera e propria utopia. E dunque il tetto ai mandati, la restituzione delle indennità, il no ai compromessi. All’inizio tutti i portavoce hanno conservato quei valori, a poco a poco la natura umana ha trasformato alcuni di loro. Buona parte dei fuoriusciti ha già detto addio agli ideali, e fra chi è rimasto in molti sono tentati…
Andando su questa strada ha ancora senso il M5S?
Ha senso se non rinuncia ai suoi ideali e continua ad incidere sulla vita dei cittadini. Se diventasse una copia sbiadita dei vecchi partiti, sarebbe finito.
Come se ne esce?
Qualsiasi cosa si voglia fare, si dia ascolto agli iscritti. La nostra forza è sempre stata la nostra base senza la quale non esistiamo. Qualcuno lo dimentica o finge di non saperlo, ma questo qualcuno va incontro ad un duro scontro con la realtà…