di Monica Setta
È stato fra i primi a salutare con favore il governo di Enrico Letta (“Un politico che stimo, una persona sincera”) ma adesso fra i provvedimenti dei “primi cento giorni” Ivan Malavasi, presidente della Cna (Confederazione nazionale artigiani) vuole che ci sia la riduzione della pressione fiscale dell’Irap in vista di una futura abolizione, oltre ad una grande operazione di sburocratizzazione della pubblica amministrazione. “I piani per il lavoro vanno bene – spiega – d’accordo anche a discutere sull’Imu, ma abbiamo 6 milioni fra giovani e disoccupati che aspettano risposte concrete, non solo annunci ad effetto”. Seduto sulla poltrona più importante per il sistema delle piccole e medie aziende italiane, Malavasi diventerà il prossimo primo luglio anche presidente di Rete Imprese Italia, che associa oltre due milioni e mezzo di società, per un totale di 4 milioni e 200 mila artigiani e commercianti. L’idea, ripete l’imprenditore che da 40 anni “milita” nel mondo delle associazioni, è quella di ridare dignità a un mondo che la politica ignora, facendo un’attività di lobby intelligente che punta sul valore aggiunto della competenza.
Lei dice che i politici non sanno “leggere” le potenzialità intrinseche del sistema economico italiano fondato prevalentemente sulle piccole e medie imprese, ma continuano a guardare solo alle grandi industrie. Che poi rappresentano “appena” lo 0,6% sul fatturato industriale globale del paese…
“Esattamente. La politica in Italia cerca il confronto con le grandi imprese mentre dovrebbe avere gli occhi della verità, come ha detto recentemente il premier Enrico Letta, e prendere atto che le aziende sopra i 250 addetti in Italia sono ancora troppo poche. La parte sostanziale dell’economia reale è formata da artigiani, commercianti, aziende piccolissime o medie che hanno urgente bisogno di politiche ad hoc destinate a restituire al paese il primato sulla competitività. Ciò che manca oggi è la fiducia. C’è in giro troppa rabbia e i cittadini o gli operatori economici non sanno più se credere o meno a ciò che la grande politica, quella con la P maiuscola, spesso annuncia in modo clamoroso. Ecco, credo che se il governo Letta riuscisse a mantenere le promesse che ha fatto, ridarebbe al Paese la speranza di una ripresa. Vede, noi italiani abbiamo già fatto questa esperienza nel dopoguerra, conosciamo i modelli, non dobbiamo imparare altro. Ci serve unicamente di recuperare un rapporto di fiducia con la nostra classe politica. Questo equivale ad una grande azione di politica industriale, glielo assicuro”.
Vedendo che il tasso di litigiosità fra i partiti che sostengono il governo non è calato, si è pentito di aver accolto con entusiasmo l’esecutivo di Enrico Letta?
“Ancora no (e ride divertito, ndr) noi siamo un Paese di gente che dimentica presto, non ci ricordiamo a che pungo eravamo quando è arrivato Mario Monti e che cosa abbiamo subito nei mesi immediatamente successivi al voto del febbraio scorso quando non riuscivamo a formare un governo. I commenti all’estero erano tutti negativi, dunque l’ingresso sulla scena di una persona perbene come Enrico Letta è stato accolto dalla nostra associazione con ottimismo. Il pericolo che senza un esecutivo, noi sorvegliati speciali d’Europa facessimo quel fatidico “passo indietro” verso il default era concreto. Letta é arrivato al momento giusto e i provvedimenti economici indicati vanno in una direzione chiara. Solo che non sono sufficienti. La necessità è quella di creare lavoro sbloccando le grandi opere pubbliche e sburocratizzando l’apparato statale o realizzando quelle riforme fiscali che alleggeriscano il carico tributario su imprese e lavoro. Abbiamo bisogno di tenere in sicurezza i conti pubblici, i debiti ci sono e tanti. Ma il governo deve fare uno scatto, avere una “visione” di lungo periodo che consenta all’Italia di recuperare sul piano della produttività e della competitività. Se Letta saprà farlo o meno lo vedremo a breve”.
Che proiezioni fa sul ciclo economico? Riusciremo davvero ad invertire la rotta prima del 2014?
“Mi accontenterei che nel 2013 riuscissimo a frenare la caduta, ma gli ordini che segnalano ogni mese il peggioramento della situazione economica delle aziende, depotenziano anche un ottimista come me! La speranza di invertire il ciclo resta, ma dobbiamo spostare la data alla seconda meta del 2014. E poi investire sulla formazione, su quell’intreccio prezioso fra “sapere intellettuale” e “saper fare” che caratterizza il nostro paese. Oltre a recuperare senso dello stato e dignità di essere italiani. Non sono invidioso, ma quando mi capita di andare all’estero per lavoro, soffro a guardare che i nostri competitor sono sempre pronti a tirar fuori l’orgoglio nazionale mentre noi, stanchi probabilmente dalla “cattiva politica”, non ci crediamo più. Letta ha una grande occasione, speriamo che sappia usarla. E per favore dica ai ministri di smetterla con gli annunci scoop: se poi quelle cose non si realizzano l’effetto sul Paese è devastante in termini di sfiducia”.