“Una composizione del bilancio pubblico più orientata verso misure a sostegno del lavoro e dell’attività produttiva, una strategia rigorosa e credibile per la riduzione dell’incidenza del debito pubblico, un disegno di riforme strutturali di ampio respiro, volto a rimuovere gli ostacoli di natura burocratica e amministrativa alla concorrenza, agli investimenti in capitale fisico e in capitale umano possono contribuire a un ritorno a tassi di crescita più elevati e ristabilire la fiducia nel mercato dei titoli pubblici. Un’efficace azione di contrasto dell’evasione, nell’ambito di un’ampia riforma fiscale, potrà facilitare questo processo”. E’ quanto ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella sua relazione annuale.
“Come riconosciuto anche nel Def – ha aggiunto Visco -, il rallentamento congiunturale tende ad accrescere il disavanzo pubblico per l’anno in corso. L’aumento dell’incidenza del debito sul Pil potrebbe superare quello indicato nei programmi di governo, che scontano incassi da privatizzazioni per circa 18 miliardi”. “Finora la trasmissione del maggiore costo dei titoli pubblici a quello dei prestiti delle banche a imprese e famiglie – ha detto il governatore parlando dello Spread – è stata limitata, grazie all’ampia liquidità e alle migliori condizioni dei bilanci degli intermediari. Cominciano tuttavia a emergere segnali di tensione: secondo i sondaggi, le politiche di offerta dei prestiti, pur rimanendo nel complesso distese, si stanno gradualmente irrigidendo, soprattutto per le piccole imprese, a seguito del deterioramento del quadro macroeconomico e dell’aumento dei costi di provvista delle banche. Si stima che a parità di altre condizioni – ha aggiunto ancora Visco -, e senza tenere conto degli effetti negativi sulla fiducia di famiglie e imprese, rendimenti delle obbligazioni pubbliche di 100 punti base più alti determinino una riduzione del prodotto dello 0,7 per cento nell’arco di tre anni”.
“Nelle valutazioni ufficiali – ha aggiunto – l’introduzione del reddito di cittadinanza e le nuove misure in materia pensionistica potrebbero, senza considerare gli effetti restrittivi delle relative coperture, portare ad un aumento del prodotto di circa 0,6 punti percentuali nel complesso del triennio 2019-2021. Nell’ipotesi di spesa integrale dei fondi stanziati, queste valutazioni sono condivisibili, quelle relative agli effetti sull’occupazione, che sarebbero di mezzo punto percentuale più alta nel 2021, presentano invece ampi margini di incertezza”.
“In Italia – ha aggiunto – il prodotto ò leggermente diminuito nella seconda met- del 2018. Considerando l’intero anno la crescita è stata dello 0,9%, poco più della metà di quella del 2017. Ne è risultato un brusco ridimensionamento dei piani di investimento delle imprese, anche la spesa ha rallentato, riflettendo il deterioramento delle prospettive economiche e lo stallo dell’occupazione registrato dall’estate”.
“L’Italia – ha aggiunto il governatore della Banca d’Italia – è stata a lungo tra i principali beneficiari dei trasferimenti europei. In termini lordi le risorse stanziate per il sostegno delle aree svantaggiate del nostro paese per il periodo 2014-2020 sono pari a 34 miliardi, lo 0,3% del Pil in media all’anno. Utilizzarle in maniera efficiente deve essere una priorità, superando con decisione i problemi incontrati in passato. Anche se il rafforzamento dei bilanci delle banche italiane è proseguito nel 2018, gli effetti della crisi non sono ancora pienamente riassorbiti e rallentano la reazione degli intermediari ai profondi cambiamenti nella struttura del mercato, nelle abitudini della clientela, nella regolamentazione finanziaria, nella tecnologia”.
“Se alziamo lo sguardo oltre l’orizzonte della congiuntura – ha detto ancora Visco – non possiamo ignorare il rischio, implicito nelle tendenze demografiche, di un netto indebolimento della capacità produttiva del Paese e la prospettiva di una forte pressione sulle finanze pubbliche. Da qui al 2030, senza il contributo dell’immigrazione, la popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni diminuirebbe di 3 milioni e mezzo, calerebbe di ulteriori 7 nei successivi quindici anni. Oggi, per ogni 100 persone in questa classe di età ce ne sono 38 con almeno 65 anni; tra venticinque anni ce ne sarebbero 76”.
“La politica monetaria unica – riferisce ancora il governatore -, nel perseguire la stabilità dei prezzi nel medio periodo, può attenuare le difficoltà congiunturali comuni, non può intervenire a beneficio di singoli Stati, né può risolvere i problemi strutturali, che riguardino un solo paese o tutta l’area. Ma addossare all’Europa le colpe del nostro disagio è un errore; non porta alcun vantaggio e distrae dai problemi reali”.
“L’appartenenza all’Unione europea – ha aggiunto Visco – è fondamentale per tornare su un sentiero di sviluppo stabile: è il modo che abbiamo per rispondere alle sfide globali poste dall’integrazione dei mercati, dalla tecnologia, dai cambiamenti geopolitici, dai flussi migratori. La crescita istituzionale dell’Europa ha accompagnato quella economica di tutti i paesi del continente: ha aperto un mercato più ampio alle imprese e ai consumatori – ha aggiunto – reso disponibili maggiori fondi a sostegno delle aree svantaggiate, facilitato la cooperazione in campi strategici, garantito un quadro di stabilità monetaria. Saremmo stati più poveri senza l’Europa; lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario”.
“L’Italia ancora fatica a riprendersi dalla doppia recessione – spiga Visco – perché paga il prezzo di un contesto che e’ poco favorevole all’attività imprenditoriale. Risente di un ritardo tecnologico grave, frutto di una struttura produttiva frammentata e sbilanciata verso aziende che trovano difficoltà a crescere e a innovare. Subisce il peso delle distorsioni prodotte dall’evasione fiscale e quello del debito pubblico, che rende più costosi i finanziamenti per le famiglie, per le imprese e per le banche, oltre che per lo stesso Stato”.
“La debolezza della crescita dell’Italia negli ultimi 20 anni – prosegue nella sua relazione il governatore di Bankitalia – non è dipesa né dall’Unione europea né dall’euro, quasi tutti gli Stati membri hanno fatto meglio di noi. Quelli che oggi sono talvolta percepiti come costi dell’appartenenza all’area euro sono, in realtà, il frutto del ritardo con cui il Paese ha reagito al cambiamento tecnologico e all’apertura dei mercati a livello globale. La specializzazione produttiva in settori maturi ha esposto ha esposto l’economia alla concorrenza di prezzo di quelle emergenti. Le esitazioni nel processo di riduzione degli squilibri nei conti pubblici hanno compromesso margini per le politiche volte alla stabilizzazione macroeconomica e a innalzare durevolmente la crescita”.
“Le difficoltà italiane sono amplificate nel Mezzogiorno – dice ancora Visco -, che ha risentito più del resto del paese della doppia recessione. Nelle regioni meridionali deve innanzitutto migliorare l’ambiente in cui le imprese svolgono la propria attività, in primo luogo con riferimento della tutela della legalità. Le regioni del meridione stanno subendo un ulteriore impoverimento per l’emigrazione delle loro risorse più giovani e preparate, in massima parte verso il centro nord del paese negli ultimi dieci anni il saldo migratorio complessivo è stato leggermente positivo, ma si e’ osservato un sensibile deflusso netto di giovani laureati”.