di Stefano Sansonetti
Inutile girarci intorno. A tre anni di distanza dal suo varo, l’operazione si sta rivelando un clamoroso fallimento. I 74 immobili che Bankitalia, sotto l’impulso dell’allora governatore Mario Draghi, voleva dismettere perché ritenuti inutili, ancora oggi risultano invenduti. Palazzi storici di pregio, sedi di ex filiali, appartamenti, addirittura teatri. Un bendidio che la banca centrale non è riuscita a far passare di mano, nonostante abbia profumatamente pagato due superconsulenti immobiliari: il gruppo americano Colliers e l’italiana Exitone, che fa capo al gruppo Sti controllato dall’immobiliarista torinese Ezio Bigotti. I due advisor, remunerati da via Nazionale con 2 milioni e 21 mila euro, avevano vinto una gara a inizio 2011. Finora, però, complice una situazione non proprio felice del mercato immobiliare, hanno combinato ben poco. Anche se in questi giorni stanno facendo un altro disperato tentativo, con la pubblicazione di una lista di asset sul mercato pressoché identica al passato. E pensare che all’inizio il valore del pacchetto era stato stimato in 300 milioni di euro. Dei quali, finora, non si è vista nemmeno l’ombra. Il piano di dismissioni era stato pensato proprio nell’era Draghi per razionalizzare e rendere più sobria la banca centrale, in un momento in cui le polemiche anticasta non risparmiavano nessuno. Il problema è che in questi tre anni, nonostante ripetuti tentativi, nessun potenziale investitore sembra essersi filato il ricco patrimonio immobiliare dell’istituto di via Nazionale. Basta fare lo storico delle operazioni per rendersene conto.
Un buco nell’acqua
Negli anni si sono succedute due aste senza successo. Fino a quando, qualche giorno fa, i due superconsulenti hanno deciso di consigliare a Bankitalia, ora guidata da Ignazio Visco, di ricorrere alla trattativa privata. Procedura che, va da sé, proietta i 300 milioni nella dimensione di una speranza d’incasso a dir poco utopistica. E così adesso palazzo Koch ripropone una lista di fatto identica di complessi immobiliari, cresciuti giusto da 66 a 74, per fare un altro tentativo. All’interno ci sono pezzi pregiati. C’è un immobile romano di via dei Due Macelli, in pieno centro storico della capitale, sede del “Salone Margherita”. Parliamo di un edificio ottocentesco di 2.500 metri quadrati, che risulta dato in locazione alla società Cinema Teatrale Marino & Co. A Pisa, nella centralissima via San Martino, c’è un palazzo del 1780 per complessivi 7.700 metri quadrati, parte dei quali affittati all’Enel. A Torino, come spiegano i documenti, spicca un “palazzo residenziale di grande valore storico-artistico” che risale al 1600 ed è composto da 59 unità immobiliari. In quel di Milano, zona Corso Sempione, spunta fuori un maxicomplesso da 14.500 metri quadrati, per due piani interrati e sei fuori terra. Insomma, pacchetti interessanti. Che però, come hanno confermato ieri a La Notizia Colliers ed Exitone, “di fatto sono ancora invenduti. Adesso si procederà senza asta, con offerte libere”. Poi sarà la banca centrale, proseguono gli advisor, “a decidere se il valore economico delle offerte può essere coerente con i prezzi di congruità dei singoli immobili fissati dalla Banca d’Italia”. Ma la conclusione, ammettono candidamente i consulenti, è che la speranza di incasso di 300 milioni è una pia illusione.