di Stefano Sansonetti
Alla fine, seppur soltanto virtuale, si tratta di un salasso. Le riserve auree della Banca d’Italia, in poco più di un anno, hanno bruciato 40 miliardi di euro di valore. Una cifra da far tremare i polsi, soprattutto in un periodo in cui le istituzioni pubbliche fanno fatica a risparmiare anche pochi spiccioli. Per carità, quando si tratta dell’oro della banca centrale, guidata da Ignazio Visco, il terreno è come minimo sdrucciolevole. Ma i numeri riportati nell’ultimo aggiornamento sulle riserve, pubblicato da palazzo Koch il 7 gennaio scorso, fanno una certa impressione. E sono ovviamente legati a un prezzo dell’oro che negli ultimi mesi è letteralmente crollato. Al 31 dicembre del 2013, le 2.452 tonnellate di metallo giallo di Bankitalia valgono 68,6 miliardi di euro. Soltanto un mese prima il valore si era attestato sui 72,5 miliardi. Già solo nell’ultimo mese dell’anno scorso, quindi, si sono virtualmente lasciati sul piatto 3,9 miliardi.
Gli ultimi 365 giorni
Ma il confronto si fa impietoso se proiettato su base annuale. Il 31 dicembre del 2012, infatti, le riserve in pancia all’istituto di via Nazionale valevano 99,4 miliardi di euro. Insomma, in 365 giorni sono stati bruciati 30,8 miliardi di euro (-31%). Se poi si prende come punto di partenza il picco fatto registrare dall’oro di Bankitalia il 30 settembre del 2012, lo “spread” diventa ancora più abissale. In quella data, infatti, le riserve di palazzo Koch erano arrivate a valere la bellezza di 108,2 miliardi di euro, praticamente il record storico. Ebbene, rispetto a quest’ultima cifra registrata poco più di un anno fa la perdita di valore complessiva, al 31 dicembre del 2013, è del 36,6%. Il che significa aver bruciato 40 miliardi nello stesso lasso di tempo. Dietro alla voragine c’è l’andamento sui mercati del metallo giallo, che rispetto alle quotazioni boom vicine un tempo ai 2 mila dollari l’oncia adesso è calato a circa 1.220 dollari. Un salasso virtuale, dicevamo, perché se non c’è una vendita effettiva non si può parlare di una concreta minusvalenza. Ma il crollo lascia in ogni caso sul tappeto tutta una serie di questioni, non soltanto quelle annose circa l’opportunità di fare un po’ di cassa a beneficio dello Stato vendendo parte delle riserve. Poteva palazzo Koch proteggersi in qualche modo da questo pericolo?
Questione spinosa
Angelo De Mattia, già segretario particolare del direttorio della Banca d’Italia all’epoca di Antonio Fazio, contattato da La Notizia premette che “l’andamento del valore non dipende certo dal governo delle riserve”. La loro stabilità, infatti, “alla fine va valutata nel lungo periodo e non va contrattata sul mercato. L’importante è resistere in attesa di una ripresa delle quotazioni dell’oro”. Il fatto è, come è stato rivelato dal Foglio nel luglio del 2013, che qualche anno fa alcuni consulenti finanziari e banche hanno suggerito a palazzo Koch di stipulare un contratto di assicurazione per proteggersi da ribassi del valore delle riserve oltre un certo livello. Poteva essere una strada praticabile? “Diciamo che Banca d’Italia avrebbe potuto tranquillamente fare un’analisi costi-benefici e stimare la convenienza di un’operazione del genere”, commenta sul punto De Mattia.