Cose mai viste a Bruxelles. L’Italia che non fa più da scendiletto e chiede pure i danni per le scorribande della Commissione europea, come quella che negli anni scorsi ci ha impedito di utilizzare il Fondo interbancario di garanzia per salvare gli istituti di credito finiti poi in risoluzione. Un crac che è costato miliardi alle banche coinvolte e ai risparmiatori. Quel disastro ora sappiamo che si poteva evitare, come ha stabilito una sentenza della Corte Ue, accertando che la Commissione penalizzò illecitamente il nostro Paese. Un atto d’accusa che per la prima volta spingerà il nostro Governo a fare causa per ottenere il risarcimento del danno, come ha annunciato ieri il premier Giuseppe Conte.
“Bisogna procedere con cautela. è un precedente importante e non è da escludere un appello della Commissione, ma dobbiamo trarne tutte le conseguenze politiche e giuridiche anche sul piano risarcitorio”, ha detto il Presidente del Consiglio, definendo questa possibile azione di rivalsa una cosa buona e giusta. La via del procedimento giudiziario era stata d’altronde anticipata dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, e sostenuta dall’Abi, l’associazione delle banche italiane. Anche al Ministero dell’Economia, secondo quanti anticipato ieri da La Notizia, sarebbero allo studio le valutazioni sull’entità del danno, per la quale girano ipotesi molto diverse, che vanno da qualche decina fino a 65 miliardi, con punte più inverosimili per quanto sono stratosferiche, a quota 120 miliardi.
Come detto, però, la decisione sul ricorso per il mancato salvataggio di Banca Tercas apre scenari del tutto inediti e imprevedibili. Tanto che la commissaria alla concorrenza e al mercato Margrethe Vestager, che motivò lo stop al Fondo configurandolo come un vietatissimo aiuto di Stato, sta cercando da giorni di discolparsi scaricando le responsabilità sulla Banca d’Italia. Via Nazionale, insomma, avrebbe fatto deliberatamente quasi saltare il sistema, per un motivo che resta ignoto mentre si sa benissimo che i mercati internazionali si avvantaggiarono molto delle difficoltà delle nostre banche in quell’epoca.
Per effetto delle decisioni prese all’epoca rimasero col cerino in mano migliaia di obbligazionisti e piccoli risparmiatori, per non parlare del danno subito dalle banche, con quella dell’Etruria, CariChieti, Banca Marche, Cariferrara, e poi Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza che andarono a gambe all’aria, mentre invece il fondo di garanzia avrebbe potuto evitare la crisi e mettere il settore in sicurezza. Un esito logico visto che lo strumento è finanziato con capitali privati e dunque resta un mistero il motivo per cui la Commissione ne vietò l’utilizzo, minacciando una procedura d’infrazione per un inesistente aiuto di Stato. Erano anni, quelli, in cui Renzi a Palazzo Chigi non aveva nulla da dire alla Ue, e pagammo caro. Ora però la musica cambia.