Prima ha chiesto che venisse tolta l’inchiesta in cui è indagato alla Procura della Repubblica di Firenze, vedendosi però respingere la richiesta dalla Corte di Cassazione, e poi si è rivolto alla Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato, sollecitando lo scudo parlamentare. I magistrati fiorentini sembrano diventati il peggiore degli incubi per Matteo Renzi, coinvolto nelle indagini sui fondi raccolti dalla fondazione Open.
L’APPELLO. L’ex premier e senatore di Rignano il mese scorso ha scritto una lettera alla presidente di Palazzo Madama, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che la seconda carica dello Stato ha girato alla Giunta. Nella nota il leader di Italia Viva ha comunicato, relativamente all’inchiesta su Open, di aver scritto al procuratore aggiunto di Firenze, sostenendo di aver appreso dalla stampa che sarebbero state compiute delle intercettazioni o comunque delle “captazioni di conversazioni o comunicazioni o corrispondenza” che riguardano lui e altri parlamentari coindagati, e che sarebbero state inserite nelle chiavi di ricerca di telefoni e computer sequestrati dei nomi di parlamentari.
In tal caso, l’ex premier ha comunicato al magistrato che a suo avviso tutto ciò può rappresentare “una potenziale violazione della Carta costituzionale in relazione alle guarentigie di cui all’articolo 68, terzo comma, della Costituzione”, e di auspicare una smentita sul punto. Nella stessa nota inviata a Palazzo Madama, il senatore ha quindi precisato che, in caso contrario, “sarebbe evidente il tentativo di intercettare, captare e acquisire, senza la necessaria preventiva autorizzazione, conversazioni o comunicazioni o corrispondenza del parlamentare”.
Una lettera dunque per sollecitare l’intervento della Giunta e far eventualmente annullare atti d’indagine acquisiti senza l’ok del Senato. Immediato il sostegno di Forza Italia all’ex rottamatore. Il senatore azzurro Lucio Malan, appena discusso il caso in Giunta, ha infatti specificato che dalla lettera di Renzi “emerge un quadro preoccupante, caratterizzato dal tentativo dell’autorità giudiziaria di reprimere le prerogative parlamentari”.
IL CASO. L’inchiesta sulla fondazione Open verte sull’ipotesi di finanziamento illecito ai partiti e i pm Luca Turco e Antonino Nastasi ritengono responsabili anche quanti avrebbe beneficiato dei contributi ricevuti dalla stessa fondazione, considerata la cassaforte della Leopolda, tra il 2012 e il 2018. Da lì la decisione di indagare Matteo Renzi e i suoi fedelissimi o ex fedelissimi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti, quelli che un tempo componevano il giglio magico. Nell’inchiesta sono poi indagati l’ex presidente di Open, l’avvocato Alberto Bianchi, e l’imprenditore Marco Carrai.
Un’indagine su un totale di 7,2 milioni di euro raccolti in sei anni che, secondo gli inquirenti, sono stati destinati “a sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”. I finanziamenti, sempre per i pm, sarebbero giunti ai politici sia in forma diretta che indiretta. Gli avvocati difensori di Matteo Renzi hanno presentato un ricorso al procuratore generale della Cassazione relativo alla competenza territoriale nell’inchiesta su Open, puntando a far trasferire l’inchiesta alla Procura di Roma e in subordine a quella di Velletri o Pistoia, dopo che la stessa richiesta è stata respinta dai magistrati fiorentini, ma invano. Anche per gli ermellini l’inchiesta deve restare a Firenze. Le speranze sono così tutte nel Senato.