Si apre un’altra crepaccia nella trattativa con i Benetton su Autostrade. Palazzo Chigi aveva concesso a fine settembre ad Atlantia, la holding della famiglia di Ponzano Veneto che detiene l’88% di Aspi, dieci giorni per vendere la società a Cdp, pena la revoca della concessione. E Aspi, a due giorni dalla scadenza dell’ultimatum, ha risposto. Non nel verso auspicato dal governo ma “in direzione ostinata e contraria”. E il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri avverte: “Se l’accordo non venisse rispettato per responsabilità del concessionario si dovrà procedere con la revoca”.
Nonostante, a quanto risulta, nei giorni passati ci sarebbero stati contatti tra Atlantia e governo per riannodare i fili della trattativa. Autostrade per l’Italia – si legge in una nota della società – ha confermato ai ministeri competenti la propria disponibilità, anche immediata, a sottoscrivere – con la sola eliminazione della condizione di efficacia relativa al perfezionamento della cessione del controllo di Autostrade per l’Italia a Cassa depositi e prestiti, in quanto estranea al rapporto concedente-concessionario – l’atto transattivo senza alcuna modifica o affinamento.
“Quanto sopra, naturalmente – conclude la nota – nell’ambito di una eventuale definizione conclusiva delle procedure di presunto grave inadempimento, a suo tempo avviato dal concedente”. Ovvero Aspi chiede di eliminare l’articolo 10 dell’accordo transattivo secondo cui l’efficacia dell’accordo e la chiusura della procedura di revoca diventano effettive solo con il passaggio del controllo di Autostrade a Cdp. Articolo che è il cuore degli accordi presi dai Benetton a metà luglio. E che ora però la famiglia non intende affatto onorare. Così come non intende concedere la manleva (che pure concesse a Gemina nel 2013). I Benetton ribadiscono ieri quanto avevano già fatto sapere: vincolare la transazione per la chiusura del procedimento di revoca alla riuscita del negoziato con Cdp è una soluzione indigesta agli azionisti dal momento che rivelerebbe una nazionalizzazione di fatto, un “esproprio di Stato”.
Prima della nota diffusa dalla società a dare la notizia dell’ultima missiva avvelenata di Aspi è stata la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli (nella foto) in audizione alla Camera. Che parla di “stallo” nella trattativa. E ora che fare? “Procederemo nel confronto con gli altri soggetti coinvolti – ministero dell’Economia e presidenza del Consiglio dei ministri – e prenderemo – spiega la ministra – le determinazioni conseguenti”. I Benetton rifiutano l’articolo 10 come la manleva. Secondo loro se dovessero emergere responsabilità e danni da risarcire per il crollo del ponte Morandi questi ricadrebbero sulla nuova proprietà. La proposta di Atlantia di assegnare in via preventiva un valore a un’eventuale richiesta di risarcimento scontandolo dal prezzo di acquisto è stata considerata inaccettabile da Cdp.
De Micheli chiede il rispetto degli accordi presi. Nega che ci sia interesse da parte del governo a procedere a una nazionalizzazione: “C’è il tentativo di realizzare puntualmente gli impegni che Atlantia stessa si è assunta nei confronti del governo”. E sul nodo della manleva fa notare che “anche nel caso di un azionariato del quale faccia parte Cdp non è immaginabile che i danni vengano pagati dagli italiani”. Tutto lascia presagire che siamo a un passo dalla revoca. Certo, la via non è semplice. A partire dalla questione economica con un indennizzo per i soci di Aspi che va dai 7 ai 23 miliardi, se dovesse spuntarla nel contenzioso Atlantia. Andare allo scontro non serve a nessuna delle due parti in gioco. E per questo alla fine c’è chi in questi scambi epistolari intravede qualche spiraglio per la ripresa del negoziato.