Dopo Genova il ponte Morandi sta travolgendo i Cinque Stelle. Il Movimento che ci ha messo da subito la faccia, promettendo giustizia per i 43 morti e l’esclusione di Autostrade per l’Italia dalla ricostruzione, adesso sembra fare un’inspiegabile marcia indietro, aprendo uno spiraglio alla concessionaria controllata dai Benetton. L’atto che ha rimesso in gioco la società incaricata della manutenzione del ponte è un emendamento al decreto Genova che permette ad Autostrade di abbattere quel che resta del Morandi, entrando così di fatto tra i soggetti che parteciperanno alla partita. Una giravolta che può spiegarsi solo con gli appigli legali messi in campo dalla società guidata da Giovanni Castellucci, il manager che sta facendo di tutto per non farsi escludere dalla concessione, malgrado il suo azionista di riferimento Gilberto Benetton rilasci interviste nelle quali chiede agli italiani di essere ringraziato per il grande sacrificio fatto dalla sua famiglia nel prendersi in carico le autostrade italiane. Un sacrificio che, per inciso, ha reso miliardi di euro di dividendi.
SOLO PROMESSE? – Ai proclami della prima ora, a ridosso della tragedia del 14 agosto, adesso però sembra non seguire niente. “Non è possibile che a ricostruire il ponte sia chi l’ha fatto crollare”, aveva promesso il vicepremier Luigi Di Maio, in un primo momento seguito anche da Matteo Salvini. Con il passare dei giorni però la Lega ha preso posizioni molto più accomodanti con la società dei Benetton, notoriamente sostenuta da un eccezionale sistema lobbistico, per ironia della sorte pagato anche col pedaggio degli automobilisti morti nel crollo di quello e di altri ponti, a cominciare dal viadotto di Acqualonga, in Irpinia, dove nel 2013 un bus è precipitato nel vuoto, uccidendo 40 persone. Per questa strage solo pochi giorni fa la Procura di Avellino ha chiesto dieci anni di carcere per Castellucci e altri undici dirigenti di Autostrade per l’Italia, accusati di aver risparmiato sulle manutenzioni mentre invece si abbondava nel remunerare gli azionisti.
FACCIA TOSTA – In un Paese normale ce ne sarebbe abbastanza per far cadere la concessione, per vedere dimissionari l’Ad della concessionaria e i suoi più stretti collaboratori, tutti invece rimasti al loro posto, a cominciare dal super lobbista Francesco Delzio, un signore che per motivi sconosciuti entrava e usciva a piacimento da molte stanze del potere, soprattutto quando a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi. L’Italia però non è evidentemente un Paese normale, e mentre i Benetton fanno finta di non avere quasi interesse per la concessione autostradale, la loro società difende con i denti un contratto che dovrebbe avere valore fino al 2042. Un’operazione sulla quale ha già molti alleati nei partiti, da Forza Italia alla Lega, al Pd. Contro restano solo i Cinque Stelle, che nel tentativo di forzare la mano togliendo di mezzo una concessione autostradale che arricchisce il privato in modo sproporzionato rispetto al pubblico, hanno dovuto mandare giù bocconi amari. Il primo di questi è stato l’allungamento oltremisura dei tempi per far partire il decreto Genova e nominare un commissario alla ricostruzione. Partita oggettivamente persa dal ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, costretto a far cadere l’incarico sul sindaco di Centrodestra di Genova, Marco Bucci, tutt’altro che schierato contro Autostrade.
Al contrario, in favore della società dei Benetton si sta spendendo il governatore ligure, Giovanni Toti, politicamente diventato una strana figura a cavallo tra Forza Italia e la Lega. Ora, con l’emendamento votato anche dai 5S (corelatore Gianluca Rospi), Autostrade rientrerà tra le imprese impegnate nel cantiere del ponte, anche se al momento resta il divieto di partecipare alla ricostruzione. Un divieto che passo passo diventa però sempre più fragile, così come la resistenza politica a togliere al gruppo dei Benetton la concessione. Tanto che il titolo della società ha ripreso a crescere in Borsa, spinta anche dai nuovi investimenti in programma in giro per il mondo, ovviamente grazie ai guadagni realizzati con il pedaggio ai caselli italiani.
BEI TEMPI CON DELRIO – Adesso quindi diventa tutto da vedere se a vincere sarà Autostrade o il Governo, e segnatamente i Cinque Stelle. Un ostacolo non da poco, ma che la società dei Benetton ha preso di mira in modo muscolare, contando su una gigantesca forza economica, un enorme stuolo di avvocati e le molte sponde politiche. Una forza che ha permesso al concessionario di presentare in quattro e quattr’otto un progetto del ponte, con la firma dell’archistar e senatore a vita Renzo Piano. Progetto che invece di essere respinto al mittente perché irricevibile, Toti e Bucci hanno illustrato in pompa magna. Con la scusa di ricostruire presto il ponte, un fronte sempre più largo sta aiutando dunque Autostrade a non perdere la concessione. E pazienza se 5 Stelle e Lega si erano opposti duramente quando ai Trasporti c’era Graziano Delrio, per l’aumento dei pedaggi pagati dagli italiani a una società che il giorno dopo ha investito miliardi nel tunnel sotto la Manica e nelle autostrade spagnole. Un regalo che l’associazione di settore – Aiscat – voleva prolungare, estendendo quasi all’infinito le concessioni, grazie a una norma europea scritta – guarda caso – anche dall’Aiscat stessa.