Lo scontro può arrivare al Quirinale dopo la tensione in piazza di venerdì scorso. Vincenzo De Luca si appella al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo gli insulti tra lui e Giorgia Meloni. Così l’autonomia differenzia e il Mezzogiorno infiammano il dibattito politico, mentre Pd, Movimento 5 Stelle, le sigle della sinistra e la società civile lanciano nuove iniziative contro la riforma voluta dalla Lega di Matteo Salvini e dalla maggioranza di governo. “Ma la questione meridionale, questione storica, è negata e banalizzata”, dice Sandro Staiano, professore ordinario di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Napoli Federico II.
Professore, siamo reduci da un dibattito sul Mezzogiorno nato dal Festival di Sanremo.
“È un segno dei tempi che il dibattito pubblico si svolga in sedi come un festival musicale e attraverso la semplificazione del linguaggio social. O che la forza simbolica delle arene calcistiche venga spesa sempre più intensamente per veicolare posizioni politiche. Mentre il circuito della rappresentanza si restringe, perde respiro, languisce, nel trionfo della mentalità e della pratica populiste. Anche la questione meridionale è attratta in questo terribile paradosso democratico: la partecipazione politica universale diventa fattore dissolutivo di se stessa, per rinuncia, desiderio di semplificazione, perdita di senso della cittadinanza, negazione della complessità, rifiuto della fatica necessaria ad affrontarne i nodi”.
Qual è la conseguenza del paradosso?
“La questione meridionale, questione storica, la cui enunciazione e la cui necessità di soluzione è negli elementi fondativi della Repubblica, e che si aggrava con l’approfondirsi dei divari, è negata, banalizzata con la terribile narrazione della diversità antropologica dei meridionali, dei napoletani soprattutto”.
De Luca ha portato in piazza la rabbia contro l’autonomia differenziata: gli amministratori hanno ragione ad essere preoccupati?
“I divari territoriali quanto alla garanzia dei diritti civili e sociali sono un potente fattore di disgregazione e una minaccia alla tenuta della stabilità dei sistemi, come sempre lo è la diseguaglianza spinta oltre il segno, quando trionfino le ideologie che, contro ogni evidenza empirica, la considerino il motore dello sviluppo e non una condizione da rimuovere, a tutela della persona, come prescrive la Costituzione italiana. Ora, il regionalismo differenziato ha questo peccato originale: essere precipuamente concepito per cristallizzare e accentuare le diseguaglianze su base territoriale e tra le persone, discostandosi dalla funzione redistributiva. Per il Mezzogiorno, poi, si tratterebbe di un colpo gravissimo, di una disarticolazione del sistema con altissimi costi sociali. Ecco perché tutte le agenzie che operano nelle aree del disagio con lo scopo di contrastarlo – a partire dalla Chiesa cattolica – sono egualmente contrarie al disegno”.
Cosa devono fare i meridionali, a partire da cittadini e imprese, oltre a emigrare?
La questione meridionale è di nuovo al centro del conflitto politico. E si svolge in condizioni molto difficili È irrinunciabile che dalla società meridionale, dai corpi intermedi in essa operanti in un ricco tessuto sociale provenga una vigilanza critica efficace.