Probabilmente hanno fatto la legge sull’Autonomia differenziata sperando rimanesse uno slogan. Si potrebbe spiegare così la piccata reazione del ministro della Protezione civile Nello Musumeci alla lettera vergata lunedì dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Nella sua missiva indirizzata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni il governatore leghista chiede la riapertura del tavolo di confronto per l’attuazione dell’autonomia differenziata, secondo quanto previsto dalla Costituzione, per trattare su nove materie in cui non è prevista la definizione dei Lep. “Premetto che da siciliano sono autonomista fino al midollo – ha risposto a stretto giro il ministro Musumeci su SkyTg24 – anche se in Sicilia l’autonomia non l’abbiamo usata come opportunità ma soltanto come un privilegio”. Ma riguardo alla richiesta di Zaia, Musumeci parla di “un problema di opportunità e la politica deve obbedire anche alla regola non scritta della opportunità”.
Autonomia, la provocazione politica
Per Musumeci “in questo momento nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia permangono delle perplessità, anche all’interno della coalizione di governo. Chiederei a Zaia – dice il ministro – di accelerare, invece, insieme con noi governo il processo che deve portare alla individuazione dei Lep, che costituiscono una garanzia per quelle regioni che essendo svantaggiate guardano con diffidenza alla concreta applicazione della riforma”. Una zuffa politica che svela ciò che in molti prevedevano: l’autonomia differenziata soffia su chi la intende come metafora dolce dell’antica secessione (la Lega in testa) e chi l’ha mal sopportata come scambio politico all’interno della maggioranza per saldare la tenuta del governo.
Il problema sottovalutato da Musumeci e il suo partito (Fratelli d’Italia) insieme a un’ampia fronda all’interno di Forza Italia è che le leggi infine si usano, ognuno a modo suo. Prevedere lo scopo dei leghisti non era così difficile. “Se noi riuscissimo ad accelerare – dice ancora Musumeci – come prevede la legge per individuazione dei Lep con criteri stabiliti, possiamo anche consentire per le deleghe non legate ai livello essenziale di prestazione di poterle affidare alle regioni. Non è detto che tutte le regioni debbano usare l’autonomia differenziata. – aggiunge il ministro – La richiesta di Zaia è legittima, se non è una provocazione politica e cominciamo a lavorare sulla individuazione dei lep che costituiscono il presupposto per potere dire ‘la riforma c’è e può partire”.
La frattura interna
Lo scorso 21 giugno Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università Federico II di Napoli aveva spiegato in un’intervista a La Notizia che nella riforma del governo “l’ampiezza delle materie è il primo vulnus. Poi se guardiamo a queste materie si vede una frammentazione del Paese che impedisce le politiche pubbliche necessarie strategiche. Se noi frammentiamo il Paese, per esempio per le grandi reti di trasporto e di comunicazione, stiamo impedendo di avere un sistema efficiente”. Poco più di una settimana fa il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto (che è anche vice segretario nazionale di Forza Italia) aveva espresso critiche alla legge così com’è. Nella maggioranza si era faticato parecchio per simulare una ricomposizione. “Il Sud deve smettere di continuare a piangere”, aveva detto in quell’occasione il ministro Musumeci intento a ricucire. Zaia e il presidente lombardo Attilio Fontana avevano già cominciato a brindare. Ora ci si accorge che la maggioranza che ha votato la legge non sta in piedi nell’attuarla.