Il governo dice che l’autonomia regionale differenziata non penalizza la sanità del Sud. Beatrice Lorenzin, senatrice del Pd, ma è davvero così?
“Erano le stesse cose che venivano dette sui Livelli essenziali di assistenza (Lea) e sulla Sanità quand’è stata fatta la modifica del Titolo V. Si diceva che il Sud non sarebbe stato penalizzato perché ci sarebbe stata una corsia dove chi poteva fare di più avrebbe potuto farlo e chi poteva fare di meno sarebbe stato aiutato, ma le cose non sono andate così. Pensi che sui Lea tutt’ora non riusciamo a rispettare neanche la legge, a mia firma, che prevedeva un loro aggiornamento ogni due anni. Per non parlare della storia infinita del meccanismo perverso del commissariamento delle regioni che ha comportato un impoverimento in termini di investimenti e una mobilità sanitaria dal Sud al Nord che vale 4,25 miliardi di euro che va tutto a vantaggio di Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. C’è un tema di diseguaglianze in materia di salute che è cresciuto e che questa legge accrescerà”.
Riducendo le risorse del fondo nazionale di perequazione, i sistemi sanitari più deboli cosa rischiano?
“Lo stiamo già vedendo cosa accadrà. In questa legge di bilancio il fondo di perequazione è passato da 4,6 miliardi di euro a 900 milioni. Detto questo l’autonomia differenziata è consentita dalla nostra Costituzione, quindi attuarla non è uno scandalo. Ad essere scandaloso è il modo in cui intendono realizzarla senza garantire i livelli essenziali delle prestazioni (Lep). La norma Calderoli è anacronistica perché pensata in un’altra epoca dove le sfide che l’Italia doveva affrontare erano diverse. Ora abbiamo un gap intollerabile tra nord, centro e sud e assistiamo a un preoccupante aumento della povertà. Dopo il Covid ci si aspettava una stagione di riforme istituzionali, economiche e sociali, che ci aiutassero a colmare questi divari soprattutto nei servizi sociali, nella scuola e nella salute. Invece il governo interviene con questa autonomia che non colmerà i gap ma che determinerà nei fatti una ‘secessione’ delle regioni ricche. Dati alla mano, nel 2021 il saldo positivo della mobilità dell’Emilia Romagna era di 442 milioni, quello della Lombardia di 271,1 milioni e quello del Veneto di 228,1 milioni. Al contrario Campania e Calabria, in primis, hanno registrato un pesante saldo negativo”.
Per il governo, l’autonomia costringerà le regioni a ridurre gli sprechi…
“Si tratta di un falso mito su cosa intendiamo oggi quando parliamo di sprechi dopo decenni di razionalizzazione della spesa. Abbiamo già visto con la modifica del Titolo V che le regioni hanno ridotto gli sprechi quando è intervenuto lo Stato imponendo nuovi modelli (vedi gli acquisti). Questa è una ‘norma-spacca Italia’ che non prevede investimenti e non tiene in considerazione le regioni in difficoltà”.
A più di venti anni dalla regionalizzazione della sanità pubblica il divario nei servizi regionali è abissale. Eppure nessuno chiede di gestire la spesa con una visione più solidale
“Quando si è passati ai costi standard, si voleva superare la spesa storica controbilanciando eventuali diseguaglianze con un fondo di perequazione – oggi superato – che doveva redistribuire le risorse. Qui il problema è che oggi le risorse sono gravemente insufficienti a prescindere”.
Il governo dice di aver investito in sanità più risorse di sempre. Le risulta?
“Hanno aumentato le risorse in termini assoluti, ma non in percentuale rispetto al Pil pur non avendo le restrizioni dei vincoli del 3% del Patto di Stabilità. Tanto per capirci siamo ampiamente sotto il 7% del Pil, che è la spesa mediana europea, e distanti anni luce dal 10% di Francia, Spagna e Germania. Eppure abbiamo la popolazione più anziana dell’Ue e una domanda di salute che non riusciamo a garantire”.
Che ne pensa delle ultime vicende dell’Aifa?
“Quanto accaduto è un fatto molto grave. In altri tempi se un presidente appena nominato si fosse dimesso dicendo di essere in disaccordo con il ministro per la visione scientifica e di sistema dell’Agenzia, io credo che lo stesso ministro sarebbe venuto a riferire in Aula. Detto questo trovo sconcertante che non si sia subito provveduto a mettere a capo dell’Aifa una figura di alto valore scientifico. Spero che non ci voglia un altro anno per trovare un nome condiviso.”