Luca Bianchi, direttore generale Svimez, quali sono le criticità principali per il Sud con l’Autonomia differenziata?
“Il primo riguarda la crescita del lavoro povero. Tema che riguarda l’intero Paese ma diviene patologico nel Mezzogiorno dove nonostante la crescita dell’occupazione è aumentata la povertà, diversamente dal passato, soprattutto tra chi un lavoro ce l’ha. Precarietà e inflazione erodono il potere d’acquisto dei salari facendo scivolare la famiglie mono reddito verso l’indigenza Il secondo riguarda il PNRR, una straordinaria occasione che rischia di andare perduta per effetto delle difficoltà di attuazione delle amministrazioni locali del Mezzogiorno. Le analisi Svimez confermano che proprio dalla capacità di mettere a terra gli investimenti del Piano dipendono le possibilità delle regioni del Sud di ridurre il divario di crescita nei prossimi anni”.
Quale il suo giudizio sulla proposta sull’Autonomia? È davvero un rischio per il Sud?
“È un rischio per l’Italia, non solo per il Sud. L’autonomia differenziata delineata dal Governo espone l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione inaccettabile delle politiche pubbliche. Si delinea uno scenario di crescente ‘specialità’ delle regioni a statuto ordinario con una conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese. Con riferimento specifico alle Regioni del Mezzogiorno a questo quadro di frammentazione si aggiungono i rischi di un ‘congelamento’ dei divari di spesa pro capite già presenti”.
Prima di intervenire con la legge sull’autonomia non sarebbe stato meglio cercare di trovare un accordo sul quadro costituzionale del titolo V?
“Certo, il tema che va affrontato è quello di un’attuazione ordinata del federalismo fiscale (simmetrico e solidale) alternativo agli strappi separatisti dell’autonomia differenziata. Un’attuazione che non può prescindere dalla garanzia dei Livelli essenziali delle Prestazioni (LEP) e dalla definizione di un fondo per la perequazione dei divari infrastrutturali che ancora caratterizzano il nostro Paese. Riprendere un’attuazione ordinata del federalismo fiscale dovrebbe essere l’obiettivo condiviso. Nell’interesse nazionale, degli amministratori locali e dei cittadini, del Nord e del Sud. Procedere su questa strada, senza scorciatoie o strappi, priverebbe soprattutto la classe dirigente dell’alibi del centralismo avaro, utile per rivendicare più risorse e nascondere le inefficienze, che creano più danni dove i bisogni sono maggiori; un alibi che resisterebbe in un sistema di autonomie asimmetriche, a trazione nordista, incardinato nel nostro federalismo incompiuto. E il federalismo, quello vero, metterebbe davvero i cittadini, soprattutto quelli meridionali, nelle condizioni di valutare la qualità delle classi dirigenti locali”.
Quali sono secondo lei le materie sulle quali bisognerebbe rafforzare il ruolo dello Stato? Energia? Sanità?
“Il Paese è stato colpito, infatti, in questi anni trascorsi dall’approvazione dei referendum sull’autonomia promossi dal Veneto e dalla Lombardia nel 2017, da shock globali che hanno evidenziato i limiti di risposte frammentate a livello territoriale. Prima di tutto la pandemia che ha fatto vacillare il mito dell’efficienza dei sistemi sanitari delle regioni del Nord e ha fatto emergere l’esigenza, soprattutto nella campagna vaccinale, di strategie di programmazione degli acquisti e della logistica a scala nazionale. Se poi consideriamo le diverse competenze che richiedono le regioni del Nord, che vanno dall’energia ai trasporti, dalla politica industriale alla ricerca, appare assai difficile rendere tali ‘devoluzioni’ compatibili con il grande piano di ammodernamento del Paese che è stato definito con le ingenti risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza finanziato dalla Ue. Ancora più anacronistica appare questa prospettiva se la confrontiamo con l’esigenza di un piano energetico nazionale, e non di diverse scelte regionali, volto a migliorare il mix energetico e a ridurre la nostra dipendenza da pochi paesi esportatori”.
Non le sembra che la proposta dell’autonomia, se solo ci fossero le risorse per finanziare i Lep, potrebbe convenire anche al Sud che sui servizi è molto più indietro del Nord?
“è sicuramente un passo avanti (ri)affermare il principio che i Lep sono la ‘soglia costituzionalmente necessaria per rendere effettivi i diritti’ di cittadinanza. Ma per renderli effettivi non basta definirli, occorre garantirne il finanziamento. I divari nell’offerta di servizi nel nostro Paese, sino ad ora cristallizzati dalla spesa storica, si superano solo con un percorso graduale di riequilibrio della spesa con risorse aggiuntive, a meno di non prevedere una redistribuzione, a risorse date, dalle ‘virtuose’ regioni del Nord a quelle del Sud. è quanto correttamente fece il Governo Draghi introducendo i Lep per asili nido e il trasporto disabili prevedendone anche il finanziamento. Dietro l’asettico acronimo LEP si cela la quotidianità di servizi essenziali non garantiti in ampie aree del Paese; in Sicilia il 10% dei bambini della primaria ha assicurato il tempo pieno contro il 50% dell’Emilia-Romagna. La previsione del ddl Calderoli di determinare i livelli essenziali a invarianza di risorse si scontra con la realtà dei numeri. L’ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato che solo per assicurare il tempo pieno a tutti i bambini comporterebbe un costo di oltre 4 miliardi di euro. Nel mondo capovolto nel quale vivono i sostenitori dell’autonomia differenziata, le esigenze di specialità regionale verrebbero prima della garanzia dei diritti uniformi su tutto il territorio nazionale che solo un percorso pieno e condiviso di finanziamento dei LEP può assicurare”.
Ha senso secondo lei proporre una riforma del genere senza mettere i soldi per i Lep? Diventa uno spot elettorale?
“Non so se è una mossa elettorale o semplicemente una maniera per alimentare le mai sopite richieste di trattenere sul territorio maggiore gettito da parte delle regioni ricche. Un progetto in contraddizione con la nostra Costituzione e che ha trovato in questi anni sonore bocciature non solo da noi meridionalisti. Ci sono obiezioni formali da parte dell’ufficio parlamentare di bilancio, dalla Corte dei conti e le preoccupazioni espresse nel Country report dalla Commissione europea non sono state risolte. Sono obiezioni arrivate non da organizzazioni meridionaliste ma dai principali organi di controllo. Ricordiamo che l’Autonomia differenziata è un progetto fortemente voluto dalla Lega fin dall’inizio ma che ha trovato ampi consensi nel corso di questi ultimi anni in tutti gli schieramenti politici”.